Si ritorna a parlare del famoso salario minimo, attualmente al vaglio della commissionale in gestione del Gran Consiglio. Era un po’che il tema non teneva più banco. Al punto da chiedersi dove fosse sparito… Adesso si sta disquisendo sull’ammontare del salario minimo orario, se 18 Fr, 19 o così via. Al di là di questi mercanteggiamenti, il problema di fondo è un altro, e di soluzioni non se ne vedono arrivare. Il salario minimo di cui si discute è troppo basso per i ticinesi mentre costituisce un regalo ingiustificato ai frontalieri. La disparità di trattamento è sfacciata: non si può trattare allo stesso modo ciò che uguale non è. E la differenza tra il costo della vita al di qua e al di là della ramina è abissale. A ciò si aggiunge che in ogni caso le disposizioni sul salario minimo sono facili da aggirare: vedi il trucchetto dell’assunzione ufficiale, e quindi dello stipendio, al 50%, ma con tempo lavorativo reale al 100%. I vicini a sud sono maestri in questi stratagemmi.
Il reddito disponibile
Invece che sul salario, occorrerebbe lavorare sul reddito disponibile. Onde evitare il soppiantamento di ticinesi con frontalieri provocato dalla devastante libera circolazione delle persone, frontalieri e ticinesi non solo dovrebbero costare uguale al datore di lavoro, ma entrambi, con il salario che ottengono, dovrebbero disporre dello stesso tenore di vita. Altrimenti sotterfugi e fregature ci saranno sempre; ed i lavoratori ticinesi ne usciranno sempre perdenti.
Le difficoltà
La quadratura del cerchio risulta però assai ostica. E’ evidente che qualsiasi proposta che preveda – ad esempio – che una parte della paga versata al lavoratore frontaliere venga trattenuta in Ticino, e questo per parificare il suo tenore di vita a quello del lavoratore residente, e reinvestita nella promozione dell’occupazione dei ticinesi, si scontrerebbe con il consueto muro di scandalizzati “sa po’ mia!” da parte