Mentre gli occhi del mondo sono puntati sull’Estremo Oriente ed in particolare guardano con fiducia alla risoluzione della crisi nella Penisola Coreana, la partita per l’area del Mediterraneo allargato si sta ancora giocando ed all’orizzonte si stanno delineando capovolgimenti di fronte.
Gli Stati Uniti giocano ancora una volta il ruolo di protagonisti in quello che è fondamentalmente un unico fronte che va da Gibilterra allo Stretto di Hormuz e da Capo Nord al Corno d’Africa. La dottrina di Trump America First – spesso e volentieri mal interpretata come un ritiro tout court degli Usa dai fronti esterni – si pone nel solco, per quanto riguarda gli affari esteri, di quella della precedente amministrazione che prende il nome di driving from behind. Seguendo questa filosofia l’amministrazione Obama ha condotto – ad esempio – le rivolte denominate “Primavere Arabe”e ha cercato di destabilizzare la Siria e l’Egitto barcamenandosi in un primo tempo tra il sostegno ai movimenti islamici e a quelle poche fazioni di opposizione più laiche, per poi fare dietro-front e “chiudere i rubinetti” una volta che altri fattori, anche esterni, hanno preservato lo status quo impedendo il sovvertimento dei regimi.
L’amministrazione Trump, in questo senso, ha solo proseguito nella scelta di quelle precedenti di impegnarsi attivamente solo in quei teatri di interesse prioritario per gli Stati Uniti, preferendo delegare ai propri alleati – ma pur sempre mantenendo un certo controllo – la gestione delle crisi che riguardano il contenimento del terrorismo di matrice islamica o il contenimento di avversari regionali.
L’Europa ancora al fronte?
Da questo punto di vista è emblematica la richiesta, effettuata già a partire dal summit Nato del Galles, di aumentare la percentuale del Pil devoluta alla Difesa al 2% per i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica nel quadro di contenimento della Russia e gestione della crisi ucraina. Washington però, non ha rinunciato, dietro esplicite pressioni dei Paesi dell’Est membri della Nato, a fornire una forma di deterrenza: il programma Eri/Edi (European Reassurance Initiative / European Deterrence Initiative) cominciato nell’era Obama vede quest’anno una pioggia di dollari che servirà a migliorare le strutture militari in Polonia, Ungheria, Romania, Paesi Baltici e Repubblica Ceca.
Questa scelta però si accompagna alla parallela chiusura di installazioni e relativo spostamento di mezzi e uomini dall’Europa Occidentale: la divisione di fanteria Usa che sarà rischierata tra Polonia e Ungheria si sposterà dalla Germania mentre i vari asset militari (velivoli e mezzi terrestri) verranno spostati dalle basi olandesi e tedesche verso oriente. Tutto questo ovviamente avrà un costo non solo per quanto riguarda le nuove strutture logistiche ma anche perché gli Stati Uniti e la Nato hanno ribadito l’esigenza di migliorare la rete infrastrutturale europea proprio in funzione del rapido trasporto di rifornimenti e rinforzi dai porti di Olanda, Belgio e Germania verso “il fronte” rappresentato dai Paesi orientali della Nato.
Gli Stati Uniti hanno davvero abbandonato l’esportazione della democrazia?
Alcuni vedono un fil rouge che collega le amministrazioni americane degli ultimi 20 anni. Questo filo conduttore è rappresentato da una sorta di “isolazionismo” contraddistinto dalla volontà dei vari Presidenti (da Clinton sino a Trump) di puntare tutto sulla politica interna e sul rilancio dell’economia a discapito della volontà di impegnarsi in politica estera come gendarmi del diritto all’autodeterminazione dei popoli e della libertà dei traffici, come espresso nei 14 punti formulati dal presidente Woodrow Wilson al termine del primo conflitto mondiale.
In realtà non solo la formulazione obamiana del driving from behind ma anche la rivoluzionaria strategia denominata Joint Vision 2020 formulata dal Dipartimento della Difesa Usa nel 2000 non è che un’evoluzione della volontà degli Stati Uniti di continuare a essere i gendarmi del mondo esportatori di democrazia.
Ovviamente non essendoci più la contrapposizione in blocchi monolitici che ha diviso il mondo sino al termine della Guerra Fredda era necessario rivedere il livello di impegno estero delle forze armate americane, per questo nel documento Joint Vision 2020 si legge la volontà di concentrare le capacità militari americane nel proprio territorio metropolitano, continuando però a mantenere degli importanti presidi nei nodi chiave rappresentati da quelle aree che di volta in volta risultano essere strategiche per gli interessi Usa. Pacifico, Europa, Golfo Persico, Oceano Indiano, sono tutte regioni geografiche dove sono presenti importanti basi americane che di volta in volta vedono aumentare la presenza militare Usa a seconda delle necessità.
Questa possibilità viene mantenuta anche – e nonostante – l’ambizioso progetto del Prompt Global Strike, ovvero la ricerca di un sistema convenzionale in grado di condurre un attacco di precisione in qualsiasi parte del globo nel tempo di un’ora in modo simile ai missili balistici intercontinentali a testata nucleare. Da questo punto di vista la decisione di Trump di ridare impulso ai sistemi nucleari tattici, praticamente spariti dagli arsenali degli Stati Uniti col termine della Guerra Fredda, rappresenta un passo indietro dal punto di vista strategico rispetto alla dottrina che sottintende il Pgs.
Anche la strategia del driving from behind così bene messa in pratica da Obama per destabilizzare il Nord Africa e parte del Medio Oriente non è altro che la continuazione della dottrina wilsoniana con altri mezzi rispetto a quello di avere direttamente truppe sul campo che materialmente sovvertono i regimi ostili agli Stati Uniti. Proprio Obama, infatti, oltre a finanziare le Primavere Arabe tramite l’appoggio – diretto o attraverso intermediari come l’Arabia Saudita – a fazioni avverse ai regimi aventi come denominatore comune una forma di integralismo islamico (la Fratellanza Musulmana), è stato anche fautore di una serie di aiuti finanziari e militari a Paesi che, in altre parti del globo, erano funzionali al contenimento di avversari/concorrenti degli Stati Uniti (Cina e Russia) per sopperire al ritiro dei contingenti militari dai vari teatri conseguente alla politica di tagli al bilancio della Difesa che ancora sta incidendo sulle capacità delle FFAA Usa.
In questo quadro, la richiesta di Trump ai Paesi membri della Nato di aumentare il proprio bilancio per la Difesa è perfettamente in linea con la volontà di delegare il contenimento della Russia – e in prospettiva di futuri attori mediterranei – all’Europa avendo però ben in mano le redini di questa politica: il rafforzamento della Sesta Flotta che da qualche