Svizzera, 27 luglio 2018

La battaglia di San Giacomo sulla Birsa, la Termopili svizzera

Fra le battaglie della Svizzera medievale quella di San Giacomo sulla Birsa è una di quelle che meglio rappresentano il valore e la ferocia dei guerrieri svizzeri e contribuì notevolmente a diffondere la reputazione militare dei confederati e più tardi, quandò si formò la Svizzera federale che conosciamo oggi, a formare un'identità nazionale svizzera. Siamo nel 1444, in pieno nella Vecchia guerra di Zurigo. I cantoni di Zurigo e Svitto sono in conflitto per chi si dovesse aggiudicare i territori del defunto Conte del Toggenburgo. I sei rimanenti cantoni prendono la parte di Svitto e obbligano Zurigo ad arrendersi. Ma Zurigo non ci sta e firma un'alleanza con i nemici storici dei confederati, l'Austria. Zurighesi e austriaci vengono sconfitti ed è allora che l'imperatore austriaco Federico III chiede aiuto al regno di Francia.



La richiesta fa in un certo senso comodo al re francese Carlo VII, che dopo la fine della guerra dei cent'anni con l'Inghilterra si ritrova con un gran numero di truppe senza un impiego. Manda allora suo figlio, il futuro re di Francia Luigi XI, con 30'000 uomini per venire in aiuto a Zurigo e constringere la Confederazione ad arrendersi. Verso metà agosto del 1444 l'esercito francese entra nel territorio di Basilea. I comandanti svizzeri stazionati al castello di Farnsburg (oggi nel cantone di Basilea campagna) decidono di mandare il 25 agosto un contingente di 1'300 uomini a Liesthal dove verranno rinforzati da altri 200 uomini del posto per un totale di 1'500 uomini.





La mattina dopo, il 26 agosto, l'avanguardia francese e il piccolo esercito confederato si scontrano e i francesi vengono rapidamente messi in fuga. Esaltati da questo successo, e nonostante abbiano ricevuto ordine di evitare lo scontro diretto con l'esercito francese, gli svizzeri attraversano il fiume Birs per attaccare il grosso dell'esercito francese. Nonostante l'evidente e immensa inferiorità numerica, i confederati formano tre quadrati da 500 uomini e caricano il nemico. Il prete Aeneas Silvius Piccolomini (più tardi diventerà papa Pio II), presente alla battaglia, descrive con vividi dettagli lo svolgimento dello scontro, di come i confederati continuarono a combattere anche se raggiunti da frecce, avevano perso le mani o erano stati trapassati dalle lance nemiche.


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La battaglia durò diverse ore e a un certo i picchieri svizzeri, indeboliti, si ritirano in un vicino ospedale dove vengono poi bombardati dall'artiglieria nemica subendo pesanti perdite. I francesi chiedono più volte la resa dei confederati ma quest'ultimi rifiutano in quanto parte attaccante. Una di queste richieste di resa diventerà poi leggenda. Ad accompagnare il delfino di Francia c'era infatti un nobile austriaco, tale Burkhard VII di Monaco, che dato che parlava tedesco fu mandato quale parlamentare a chiedere la resa dei confederati. Al momento di avvicinarsi all'edificio in cui si erano asseragliate le truppe svizzere disse in modo arrogante « i miei occhi vedono un giardino di rose che i miei predecessori covano da cento anni », riferendosi ovviamente al territorio confederato che si era ribellato all'impero ausburgico centinaia di anni prima. In quel momento uno svizzero ferito mortalmente, Arnold Schick di Uri, a sentire quelle parole prese in mano una pietra e la lanciò al Burkhard urlando « allora mangiati questa rosa! ». Il nobile austriaco, colpito proprio nello spazio della visiera in quel momento aperta, cadde da cavallo. Morì qualche giorno dopo in seguito a terribili agonie.





Comunque sia gli svizzeri non si arresero e furono uccisi uno ad uno fino all'ultimo. La battaglia fu tecnicamente una sconfitta, in particolare per il cantone di Berna da cui proveniva la maggioranza delle truppe, ma strategicamente una vittoria perchè convinse il futuro Luigi XI a non continuare la sua spedizione militare. Se un manipolo di 1'500 uomini è stato capace di tenerlo in scacco un'intera giornata e fargli subire terribili perdite la prospettiva di affrontare eserciti molto più grandi lo fece desistere dal continuare. I francesi quindi si ritirarono e gli alleati di Zurigo e dell'Austria, rimasti senza aiuto si sarebbero arresi qualche anno dopo, con Zurigo che tornò a far parte della Confederazione. Ma oltre a fermare l'esercito francese, la battaglia di San Giacomo sulla Birsa cementò in Europa la fama degli svizzeri quali guerrieri feroci e valorosi. La presenza di un futuro re di Francia e di un futuro papa assicurarono che gli avvenimenti di quel 26 agosto 1444 si diffondessero rapidamente in tutta Europa ed è forse grazie a questa battaglia che nei secoli a venire sia i Papa che i re di Francia cercarono per sè i servizi delle truppe svizzere.



Nonostante il vasto eco che la battaglia ebbe nelle corti europee, in Svizzera bisognerà aspettare l'ottocento, ossia la caduta della repubblica Elvetica, prima che la storiografia elvetica riconosca la sua importanza. Con il tempo e la formazione di un'identità nazionale svizzera la battaglia è stata spesso comparata ad una "Termopili svizzera", dove un manipolo di svizzeri si sacrifica per la patria affrontando truppe numericamente di molto superiori. L'uccisione del cavaliere Burkhart per mano di un guerriero svizzero in particolare simboleggia la resistenza svizzera di fronte a potenze straniere apparentemente superiori sul piano militari e si tradusse in pratica nella fondazione di una dottrina militare dove, anche nella sconfitta, si cerca di infliggere perdite sproporzionate al nemico in modo da dissuaderlo a continuare la sua avanzata, dottrina che fu poi alla base della strategia adottata dall'esercito svizzero durante le due guerre mondiali.


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