Ticino, 28 maggio 2018

Salario minimo? Solo se c’è anche la preferenza indigena

Si ritorna a parlare del famoso salario minimo, attualmente al vaglio della commissionale in gestione del Gran Consiglio. Era un po’che il tema non teneva più banco. Al punto da chiedersi dove fosse sparito… Adesso si sta disquisendo sull’ammontare del salario minimo orario, se 18 Fr, 19 o così via. Al di là di questi mercanteggiamenti, il problema di fondo è un altro, e di soluzioni non se ne vedono arrivare. Il salario minimo di cui si discute è troppo basso per i ticinesi mentre costituisce un regalo ingiustificato ai frontalieri. La disparità di trattamento è sfacciata: non si può trattare allo stesso modo ciò che uguale non è. E la differenza tra il costo della vita al di qua e al di là della ramina è abissale. A ciò si aggiunge che in ogni caso le disposizioni sul salario minimo sono facili da aggirare: vedi il trucchetto dell’assunzione ufficiale, e quindi dello stipendio, al 50%, ma con tempo lavorativo reale al 100%. I vicini a sud sono maestri in questi stratagemmi.

Il reddito disponibile

Invece che sul salario, occorrerebbe lavorare sul reddito disponibile. Onde evitare il soppiantamento di ticinesi con frontalieri provocato dalla devastante libera circolazione delle persone, frontalieri e ticinesi non solo dovrebbero costare uguale al datore di lavoro, ma entrambi, con il salario che ottengono, dovrebbero disporre dello stesso tenore di vita. Altrimenti sotterfugi e fregature ci saranno sempre; ed i lavoratori ticinesi ne usciranno sempre perdenti.

Le difficoltà

La quadratura del cerchio risulta però assai ostica. E’ evidente che qualsiasi proposta che preveda – ad esempio – che una parte della paga versata al lavoratore frontaliere venga trattenuta in Ticino, e questo per parificare il suo tenore di vita a quello del lavoratore residente, e reinvestita nella promozione dell’occupazione dei ticinesi, si scontrerebbe con il consueto muro di scandalizzati “sa po’ mia!” da parte
della partitocrazia triciclata cameriera dell’UE. D’altra parte prevedere un salario minimo, anche più elevato di quello di cui si sta discutendo, ma solo per i residenti, sarebbe bello ma non funziona in regime di libera circolazione delle persone. Costituirebbe infatti un ulteriore incentivo a datori di lavoro con “poca sensibilità sociale” (magari pseudoimprenditori d’oltreramina) ad assumere solo frontalieri.

I becchini

E’ un bel po’ che lo diciamo. Il salario minimo DEVE andare di pari passo con la preferenza indigena. Altrimenti l’operazione si trasforma in un regalo ingiustificato ai frontalieri. Un regalo che, oltretutto, non farà che peggiorare l’invasione da sud, il soppiantamento dei lavoratori ticinesi, i trucchetti per aggirare le disposizioni salariali, e l’appiattimento delle paghe dei ticinesi verso il salario minimo. In altre parole: niente preferenza indigena? Niente salario minimo. Perché non sta in piedi. L’equazione è semplice.

Quelli che non vogliono “Prima i nostri”, ed in particolare i $inistrati ed i $indakati ro$$i che lucrano sul frontalierato, sono i becchini del salario minimo. Questo deve essere chiaro a tutti.

L’ultima possibilità

Ecco dunque – se la vogliamo girare in positivo – che la discussione sul salario minimo fornisce alla partitocrazia un’ultima possibilità: il triciclo retroceda dalla vergognosa decisione di non applicare “Prima i nostri” ed introduca finalmente la preferenza indigena plebiscitata per ben due volte dai Ticinesi. Se questa opportunità non verrà colta, si saprà chi ringraziare.

Poiché come detto i salari minimi hanno un senso solo se c’è anche la preferenza indigena, invitiamo tutti quelli che hanno a cuore gli stipendi equi a firmare e far firmare l’iniziativa popolare contro la devastante libera circolazione delle persone.

Lorenzo Quadri / MDD

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