Nell’ambito della rassegna “Generando-Visioni di genere” (un nome che è tutto un programma) col partenariato di vari enti governativi tra i quali la Commissione per l’educazione affettiva e sessuale nella scuola (Ceas), è stato organizzato un corso di aggiornamento svoltosi di recente e rivolto a tutti i docenti del Cantone.
L’introduzione del copresidente della Ceas, nonché “Esperto per l’insegnamento delle scienze naturali nella scuola media” lascia subito presagire la china. Tra le varie, una diapositiva in cui campeggiano dati che a suo dire comproverebbero la realtà di una perdurante discriminazione verso il mondo lgbtq+. Tra i numeri additati: il 57% dei genitori si sentirebbe a disagio se proprio figlio/a avesse una relazione con una persona transessuale. “Anche questo la dice lunga”, commenta l’esperto. E forse ha ragione. In tutt’altro senso però. Molto probabilmente la percentuale di genitori che si sentirebbero-comprensibilmente- in difficoltà è ben superiore ma solo poco più della metà ha il coraggio di ammetterlo. E questo dà la misura di quanto sia opprimente la cappa del politicamente corretto. Ma andiamo avanti. Un’ operatrice di Zona Protetta, medico con master in sessuologia, illustra i quattro elementi che concorrono all’identità sessuale: sesso biologico, identità di genere, orientamento sessuale ed espressione di genere. Si parte dal sesso biologico. Difficile svisare, penso. Almeno su questo saremo tutti d’accordo. Mi sbaglio di grosso. Veniamo informati che il 2 % della popolazione sarebbe “intersessuale”. Vi sembra tanto? Anche a me. Infatti trattasi di categoria “ombrello”, quindi attenzione. Gli intersessuali propriamente detti, ovvero persone con un sesso cromosomico incongruente a quello fenotipico o con fenotipi non classificabili sono circa lo 0.02% (e non ci viene detto). Sul due percento ci viene fatto notare che trattasi di una percentuale simile ai rossi di capelli. Una psicoterapeuta dal pubblico punta i piedi: “non è una forzatura assimilare il colore dei capelli a delle anomalie genetiche o dello sviluppo embrionale?” La risposta dell’altro operatore di Zona Protetta è tanto garbata nei toni quanto tagliente nei contenuti: “secoli fa le donne con i capelli rossi venivano bruciate sul rogo”. Mi chiedo: ma aiuta davvero a far chiarezza una risposta del genere o piuttosto finisce per far sentire inadeguato chi in realtà sta semplicemente tentando di ragionare sui fatti, ovvero che la vera intersessualità è oggettivamente una condizione problematica?
A questo punto vi state forse giustamente chiedendo perché la questione dell’intersessualità sia stata posta in modo così preminente. Ebbene: serviva ad introdurre il vero colpo grosso, la tesi liberatoria. Tenetevi forti: “il binarismo sessuale è un costrutto sociale!” è questo il vertice concettuale del discorso dell’operatrice di Zona Protetta. Intervengo. Non ci sto. Siamo ancora alla discussione inerente il sesso biologico e trovo quindi inaccettabile storpiare un dato così fondamentale, pietra miliare dell’evoluzione dei viventi. Chiedo chiarimenti anche all’ Esperto di scienze. La discussione, ancora in mano agli operatori di Zona Protetta, si impantana sui tassi ormonali anomali, fino a quando, appunto, interviene l’Esperto: “vorrei tranquillizzare i docenti di scienze: l’intersessualità ovviamente è una variante perfettamente esistente e non va presentata come variante da correggere”; faccio notare che non è il chiarimento da me richiesto e spiego meglio il mio disappunto: questa tesi, il binarismo sessuale come costrutto sociale, tipica del mainstream lgbtq+, oltre che inconsistente sul piano biologico va a braccetto con la locuzione “sesso assegnato alla nascita” con la quale i teorici del gender additano come arbitraria l’identificazione maschile o femminile eseguita dal medico alla nascita. Ma quale arbitrarietà!? Nella stragrandissma maggioranza dei casi è una costatazione tanto semplice quanto oggettiva. Con afflato benevolo, forse percependo un tentennamento da parte dell’Esperto, interviene un collega di scienze che mi rivolge parole che mi sembrano però sfuocate e svianti. Gli ripeto allora la domanda “sul piano biologico sei d’accordo a dire che il binarismo sessuale è un costrutto sociale?” finalmente arriva la risposta, disarmante: “assolutamente sì”.
Cos’altro se non un’ideologia subdola e perniciosa può irretire persone certamente preparate e ben intenzionate, come tutte le sopra citate, fino a indurle a riverberare tesi paludate che sotto le spoglie della giusta lotta alle discriminazioni in realtà propagandano una rivoluzione antropologica, i cui effetti, purtroppo già reali, sconfinano fino all’aberrazione di mutilazioni e sterilizzazioni?
E dire che nel campo dell’educazione sessuale ci son ben altre emergenze, a cominciare dalla dilagante pornografia online.
Se davvero ci sta a cuore l’integrità fisica e psicologica dei giovani, almeno la loro, respingiamo i deliri, e diamoci delle priorità!
Filippo Ciceri, insegnante di scuola media