Sport, 04 marzo 2025

“Sarebbe bello poter giocare nella squadra di Croci Torti”

L’ex attaccante bianconero Maurizio Ganz ripercorre i suoi anni ticinesi e non solo

LUGANO - Ha rimesso piede in quello che è stato anche il suo Ticino non più tardi di lunedì scorso e l’ha fatto per presenziare all’interessante tavola rotonda sul calcio femminile moderata dall’ottima collega Serena Bergomi in quel di Bellinzona. Lui è Maurizio Ganz: sì, proprio lui, il celeberrimo “el segna semper lü”, come da soprannome ormai consegnato alle cronache pallonare. Bella persona e attaccante generoso, come detto il friulano vanta pure un passato alle nostre latitudini, prima come punta del Lugano e in seguito in qualità di Mister di Ascona e Taverne. 



In un periodo in cui va di moda ripercorrere le gesta dei vecchi bomber (vedere le recenti copie dell’italica Gazzetta dello Sport coi vari Protti, Signori e Hubner) anche noi cavalchiamo umilmente quest’onda amarcord.


Ganz-Lugano, stagione 2005-2006: un film in bianconero con tante luci.
Ho un ricordo positivo dei miei trascorsi sulle rive del Ceresio. Nonostante alcuni infortuni che mi rallentarono nel corso dell’esperienza nell’allora Challenge League, totalizzai infatti 14 reti in 26 partite. E non dimentichiamoci che il sottoscritto aveva 37 anni... Sarebbe stato bello giungere prima in bianconero, oppure giocare in quello attuale. Al quale auguro di vincere il campionato di Super League.


Torniamo ancora indietro, con un’ipotetica macchina del tempo. Alcune firme griffate nel suo percorso luganese furono particolarmente importanti.
Misi a segno dei gol pesanti nella lotta salvezza, il che mi fece molto piacere. E voglio ricordare in ques’intervista una doppietta tanto bella quanto inutile: eravamo di scena all’Allmend, davanti a una cornice di 15'000 spettatori. Ebbene, per poter festeggiare la promozione in Super League il Lucerna doveva batterci, ma io gli rovinai parzialmente la festa portando due volte in vantaggio il Lugano!


Sfogliando il sempre accattivante album dei ricordi, vi troviamo un... complimento particolarmente gratificante.
Concluso il periodo bianconero mi dissero che ero stato uno degli stranieri che aveva reso maggiormente nella storia di questo glorioso club. Beh, sono cose di cui andare fieri, no?


Che gruppo eravate?
Una squadra di amici, nella quale il presidente Beppe Morotti, un burbero dal cuore d’oro, fungeva da papà.


Che tipo di campionato trovò al suo arrivo?
Un bel torneo, di qualità, composto da ben 20 squadre. Ora, dopo la riduzione del numero di partecipanti, considero la Challenge League un campionato più povero.


Tornando alla squadra di allora, iniziò la stagione agli ordini di Paul Schönwetter, campione di umanità e capace di far giocare un calcio divertente. Purtroppo non tutto andò come sperato.
Pauli mi volle a tutti i costi, mi sarebbe piaciuto molto essere allenato da lui, ma ebbe un malore (sul campo del Baulmes, ndr) che lo mise purtroppo fuori gioco. Lo conobbi bene in seguito e scoprii una persona fantastica.


Il conducator per il resto della stagione fu Rudi Vanoli, fratello dell’attuale coach del Toro Paolo.
Con lui ho litigato tante volte, perché spesso mi teneva fuori anche quando stavo bene. Ma ci andavo comunque d’accordo. Lo ricordo particolarmente elegante nel vestire e come una persona a modo. Un allenatore un po’ troppo difensivista? Beh, in effetti per i miei gusti lo era (ride, ndr).


La sua avventura ticinese non si è esaurita però con l’esperienza tra le fila del Lugano. Ci sono infatti i trascorsi nel calcio regionale.
Una volta appesi gli scarpini al chiodo, nella mia carriera da Mister, ho allenato sia Ascona che Taverne, dirette assieme al mio assistente di fiducia, ovvero Davide Cordone (ex centrocampista del Livorno, bandiera amaranto con 150 presenze, ndr). Fummo sfortunati in entrambe le circostanze nel senso che nei nostri anni migliori ci sbarrarono la strada delle autentiche corazzate.


Si spieghi meglio.
Sia ad Ascona che a Taverne giungemmo terzi in classifica alle spalle del Lugano 2, nonché a Bellinzona e rispettivamente Paradiso. Ci togliemmo comunque delle piccole grandi soddisfazioni. Coi locarnesi sbancammo infatti 2-0 il Comunale di Bellinzona in una serata storica. Per noi fu come vincere il campionato del mondo! Nei tre anni in biancoblù ottenni pure due salvezze particolarmente significative e difficili, in quanto strappate con le unghie e con i denti, nonostante fossimo messi veramente male.


Diceva che si tolse delle soddisfazioni anche contro il Paradiso.
Confermo: il mio Taverne lo fermò due volte sul pareggio. In giallonero staccammo poi il biglietto per la Coppa Svizzera. Sconfiggemmo il Novazzano e l’urna ci consegnò in qualità di avversario il Kriens. Ma io non diressi il Taverne contro i lucernesi, non c’ero più: mi ero ormai accasato al Milan femminile.


Un universo parallelo e diverso, che lei ha imparato subito ad apprezzare. Quali le differenze col mondo dei maschi?
Francamente ne vedo poche. Si parla di calcio e per me quest’ultimo è un linguaggio universale. Ci sono 1'000 modi di giocare a pallone. Eppoi ci sono differenze anche fra il bambino e l’adulto e tra il dilettante e il professionista. Uomini e donne sono diversi dal punto di vista della forza e della resistenza, ma il tutto si riduce a questo. Eppoi non si possono fare paragoni tra maschi e femmine.


Che squadra trovò al Diavolo?
Un gruppo di giocatrici fisicamente e tecnicamente valide, caratterizzate da una grande voglia di fare. Mi sono divertito, ho trovato una squadra davvero disponibile.


Facciamo ora qualche passo indietro e concentriamoci sul Ganz calciatore della vicina penisola. Quale difensore l’ha messa più in difficoltà?
È molto arduo fare un nome solo, poiché ho incontrato tutti i grandi. Dovrei citare qui Baresi, Costacurta, Maldini, Ferrara, Cannavaro, Kohler o Vierchowod. Ma quello che potrei fare è indicare chi mi ha menato di più: si tratta di Napolitano del Cosenza. Con lui era sempre una battaglia, con o senza la palla. Ma ci tengo a precisare che sono cose di campo, quando l’arbitro fischia la fine termina tutto. Il calcio è anche questo, e col VAR è tutto troppo facile.


È vero che una volta era più complicato fare gol?
Prima, quando gli avversari ti francobollavano, dovevi liberarti di un primo difensore e poi pure di un secondo, ovvero il libero staccato. La zona, in questo senso, ha dato più possibilità agli attaccanti, aprendo loro maggiori spazi. Significava più libertà e più chances. Inoltre, come ha dichiarato Protti alla Gazzetta, un tempo ci si laureava capocannonieri con 15 gol, ora se ne fanno anche 30.

CARLO SCOLOZZI

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