“Bob era uno degli stranieri più osannati di tutta la Svizzera e vederlo in azione ad Ambrì era quasi un miracolo. Non era affatto scontato che un giocatore del suo calibro giocasse da noi”, afferma Bruno. Anni pionieristici durante i quali si forgiarono lo spirito della società e il senso di appartenenza. I derby, quelli, erano ancora lontani: il Lugano era alle prime armi ed era visto con simpatia perchè non intaccava minimamente la fama dei sopracenerini.
“Poi sono arrivate anche le sfide cantonali, quasi copiosamente, con il loro carico di emozioni – continua Genuizzi – Ma anche, purtroppo, di antisportività. Il primo del sottoscritto? Fu nel dicembre del 1965, alla Valascia, vincemmo noi. Poi di derby ne ho giocati tanti, oltre una trentina (32 per l’esattezza, con 6 reti realizzate, ndr). Non li ricordo tutti ma quelli casalinghi furono i migliori, perchè allora li vincevamo sempre noi”. Con ogni probabilità, anche se manca ancora la matematica certezza, il quinto derby stagionale disputato settimana scorsa è stato l’ultimo della storia alla vecchia pista. “Le sfide cantonali hanno scritto pagine memorabili. I derby della Valascia, poi, sono per me indimenticabili. Non sempre corretti, vero, ma impagabili per la cornice di pubblico e per le emozioni vissute” chiosa Genuizzi, che abbiamo raggiunto telefonicamente nei giorni scorsi.
Partiamo proprio dai derby, che quest’anno sono decisamente indigesti alla squadra di Luca Cereda.
Bilancio negativo, ahimé. Non sono affatto contento di questo andazzo. Tuttavia posso dire che l’Ambrì se li è giocati tutti alla pari e nell’ultimo ha pure subito un torto arbitrale che ha condizionato la partita. Sull’1-0 per i biancoblù, i direttori di gioco hanno espulso Müller per un fallo che non aveva commesso, costringendo l’HCAP a giocare con due giocatori in meno. Il Lugano non si è fatto pregare ed ha segnato il pareggio. Una decisione assurda: il bastone dell’attaccante leventinese si era bloccato nella fessura delle assi fermando l’avversario, dite voi se è possibile...
Sugli arbitri, Genuizzi ha una teoria.
Nel corso degli anni l’atteggiamento della classe arbitrale nei confronti dell’Ambrì non è mutato. Sempre rigorosa e troppo severa nei suoi confronti, tollerante con gli avversari. Gli esempi, in 80 anni di storia, si sprecano.
I derby quest’anno
I derby quest’anno
sono senza pubblico. Una tristezza.
Senza i tifosi, perdono gran parte del loro fascino. Manca l’adrenalina. Non so dirle, tuttavia, sei ai giocatori quest’assenza faccia bene o meno. Forse senza pressione è meglio. Però dovreste chiederlo a loro. Questa è solo una mia sensazione.
Ora il prossimo derby in Leventina potrebbe giocarsi nella nuova pista.
Vediamo come finisce questa stagione. Se non sbaglio l’Ambrì potrebbe ancora arrivare decimo o nono, e il Lugano sotto la riga. Chissà...Magari se ne giocherà un altro. Di certo, sei o sette in un campionato sono davvero tanti. Troppi, direi. La gente alla fine si stanca...
Che cosa rappresenta per lei la pista leventinese?
La mia gioventù, la voglia di vivere, gli amici, l’ambiente unico. Una famiglia allargata, quella dell’Ambrì Piotta. Scendevamo in pista caricatissimi e motivati. Per noi, figli della Valle, vestire quella maglia era un onore. Un riconoscimento della nostra dedizione e delle nostre capacità.
In tanti anni di carriera qual è stato il migliore?
Senza dubbio il 1973. Conquistammo il terzo posto alle spalle dello Chaux de Fonds, che allora dominava la scena svizzera e del Sierre. Se non sbaglio per la sfida contro i neocastellani c’erano 9 mila spettatori alla Valascia. Un record. La pista era ancora scoperta: dal ghiaccio vedevamo gente appollaiata sugli alberi. Non avevano il biglietto oppure erano arrivati in ritardo. Incredibile.
I giocatori con i quali legò maggiormente?
Senza i tifosi, perdono gran parte del loro fascino. Manca l’adrenalina. Non so dirle, tuttavia, sei ai giocatori quest’assenza faccia bene o meno. Forse senza pressione è meglio. Però dovreste chiederlo a loro. Questa è solo una mia sensazione.
Ora il prossimo derby in Leventina potrebbe giocarsi nella nuova pista.
Vediamo come finisce questa stagione. Se non sbaglio l’Ambrì potrebbe ancora arrivare decimo o nono, e il Lugano sotto la riga. Chissà...Magari se ne giocherà un altro. Di certo, sei o sette in un campionato sono davvero tanti. Troppi, direi. La gente alla fine si stanca...
Che cosa rappresenta per lei la pista leventinese?
La mia gioventù, la voglia di vivere, gli amici, l’ambiente unico. Una famiglia allargata, quella dell’Ambrì Piotta. Scendevamo in pista caricatissimi e motivati. Per noi, figli della Valle, vestire quella maglia era un onore. Un riconoscimento della nostra dedizione e delle nostre capacità.
In tanti anni di carriera qual è stato il migliore?
Senza dubbio il 1973. Conquistammo il terzo posto alle spalle dello Chaux de Fonds, che allora dominava la scena svizzera e del Sierre. Se non sbaglio per la sfida contro i neocastellani c’erano 9 mila spettatori alla Valascia. Un record. La pista era ancora scoperta: dal ghiaccio vedevamo gente appollaiata sugli alberi. Non avevano il biglietto oppure erano arrivati in ritardo. Incredibile.
I giocatori con i quali legò maggiormente?
Uno su tutti: Peter Gaw. Un esempio, una persona perbene, un grande giocatore, un trascinatore. E un amico vero: quando se ne andò ad Ascona lo seguii. Sulle rive del Verbano giocai 8 anni. Un divertimento.
Perchè lasciò l’Ambrì?
Alla fine della stagione 1983/1984 il club tentennò nel rinnovarmi il contratto e alla fine, dopo un lungo tira e molla, decisi di andare ad Ascona.
Ma torniamo agli ex compagni. Se le diciamo Andy Bathgate?
Pensate ad un giocatore che arriva dal miglior campionato del mondo e si trova a giocare in una pista scoperta! Eppure lui dimostrò subito grande umiltà e capacità di adattamento sorprendenti. Andy fu un esempio per noi. In un’epoca in cui si giocava un hockey più umano e meno fisico e violento di quello odierno. Ma avete visto i recenti infortuni alla testa che hanno coinvolto anche giocatori dell’Ambrì? Pazzesco!
L’Ambri di Genuizzi era una squadra composta soprattutto da giocatori della regione.
Certo. Dal settore giovanile ogni anno uscivano due o tre giocatori per la prima squadra. Penso, allora, ai vari Fransioli, Rossetti, Zamberlani, Foschi. A proposito: sono contento che la società sia tornata finalmente alle origini, dando priorità alla formazione. Solo così può sopravvivere l’Ambrì. Duca e Cereda sono stati bravi e credo che questo progetto abbia salvato il club da un futuro pieno di insidie.
MAURO ANTONINI
Perchè lasciò l’Ambrì?
Alla fine della stagione 1983/1984 il club tentennò nel rinnovarmi il contratto e alla fine, dopo un lungo tira e molla, decisi di andare ad Ascona.
Ma torniamo agli ex compagni. Se le diciamo Andy Bathgate?
Pensate ad un giocatore che arriva dal miglior campionato del mondo e si trova a giocare in una pista scoperta! Eppure lui dimostrò subito grande umiltà e capacità di adattamento sorprendenti. Andy fu un esempio per noi. In un’epoca in cui si giocava un hockey più umano e meno fisico e violento di quello odierno. Ma avete visto i recenti infortuni alla testa che hanno coinvolto anche giocatori dell’Ambrì? Pazzesco!
L’Ambri di Genuizzi era una squadra composta soprattutto da giocatori della regione.
Certo. Dal settore giovanile ogni anno uscivano due o tre giocatori per la prima squadra. Penso, allora, ai vari Fransioli, Rossetti, Zamberlani, Foschi. A proposito: sono contento che la società sia tornata finalmente alle origini, dando priorità alla formazione. Solo così può sopravvivere l’Ambrì. Duca e Cereda sono stati bravi e credo che questo progetto abbia salvato il club da un futuro pieno di insidie.
MAURO ANTONINI