Da tempo si dibatte se imporre o meno al personale curante, che lavora a contatto con persone fragili, di vaccinarsi contro il covid. Nelle scorse settimane o mesi, alcuni paesi hanno introdotto l’obbligo di vaccino per il personale sanitario. Si aspettava una mossa al proposito anche a livello ticinese. La mossa in effetti è arrivata. Ma sotto forma di scarica barile.
Le direzioni delle strutture sanitarie - ospedali e cliniche, case per anziani, servizi di assistenza e cure a domicilio - hanno infatti ricevuto una lettera circolare dell’Ufficio del medico cantonale. Nello scritto, dai toni perentori, si lascia chiaramente ad intendere che, se non tutti i curanti si sono vaccinati, la colpa non sarebbe del singolo “no vax”, bensì della direzione dell’istituto. Il peso di una scelta personale, compiuta dal singolo individuo, viene quindi scaricato su un altro soggetto.
La missiva annuncia inoltre la creazione, a partire dal primo di agosto, di un albo pubblico in cui le strutture dovranno indicare il tasso di personale vaccinato.
Questo modo di procedere è assai deludente. E’ infatti manifesto che il Cantone vorrebbe - a giusto titolo! - che tutti i curanti fossero vaccinati. Ma non ha il coraggio di decretare l'obbligo di vaccinarsi. Quindi scarica la patata bollente sul datore di lavoro. Una scappatoia (troppo) facile e anche poco decorosa.
Il datore di lavoro non ha in effetti alcun mezzo legale per imporre ai collaboratori di vaccinarsi. Però, se questi ultimi, malgrado tutte le iniziative