LUGANO - Tanti infortuni, tre operazioni, tanta sofferenza fisica e morale ma alla fine Christian Stucki è riuscito ad uscire dall’incubo. Ha smesso, sì, di giocare (oltretutto in giovane età: 26 anni), ma grazie alla sua determinazione e alla sua tenacia, è tornato di nuovo in pista ed ora allena i ragazzini del Lugano. Ha dovuto insomma ripartire dai piedi della scala: “Mi immaginavo un futuro diverso - ci ha detto l’ex biancoblu nell'intervista che ci ha rilasciato nei giorni scorsi - Poi quando ho capito che non si poteva più tornare indietro mi sono rimboccato le maniche ed ho trovato una nuova strada. Bellissima”.
Christian, a soli 29 anni è dura guardare in TV o dal vivo le partite di hockey?
È un processo di accettazione, l’anno scorso non riuscivo nemmeno a guardarle in TV. Ora, prendendomi il mio tempo e soprattutto ascoltando il mio stato d’animo sto riuscendo a seguirle. Dal vivo ancora non riesco, ma sono fiducioso che il prossimo passo sarà quello. Quando ho smesso è stato difficile ma dall’altra parte non avevo scelta, quindi rispetto ad altri che magari si ritrovano senza contratto e devono constantemente cercare un impiego io invece non ho perso energie per pensare. Ma il vuoto che mi rimane per quello che avrei potuto raggiungere non lo riempirà nessuno.
Come considera la sua carriera?
Sono stato spesso confrontato con parecchi infortuni, la mia carriera è stata una montagna russa in tutti i sensi, lo sport se non sai gestirti dentro e fuori dal campo ti consuma. La notorietà e le opportunità che questa ti offre ti ingolosiscono a voler accedere a tutto. Da giovane nei primi anni della mia carriera ho fatto parecchi errori e ho pagato sulla mia pelle le conseguenze. Questo mi ha aiutato a trovare un equilibrio e a capire le basi necessarie per essere uno sportivo professionista. Non rimpiango nulla. Vedendo al giorno d’oggi i giovani con tutti questi canali social e con la facilità di crearsi delle opportunità che ti invogliano ad evadere dalla routine sportiva, gli consiglio che non bisogna per forza rinunciare a tutto, ma è importante capire quando è o non è il momento di farlo; Alla fine il sacrificio è solo una questione di prospettiva e la realtà è che siamo tutti essere umani.
Ha giocato in LNA con l’Ambrì e ma non ci è riuscito con il Lugano.
Quando ero ad Ambrì sotto la guida di Kossmann ci sono stati dei contatti con il Lugano mentre ero a Biasca e da parte mia c’era la volontà assoluta di partire, ma lui non mi ha lasciato perché sosteneva che gli sarei servito per i playout tenendomi posteggiato a Biasca. In fondo per l’approccio che ho poi portato a fine stagione ha avuto ragione, anche se nel mentre era stato esonerato ed è subentrato Gordye Dwyer.
E veniamo al Christian Stucki allenatore. Ci dicono che lei sia molto coinvolto nella nuova veste di coach dei ragazzini.
Innanzitutto ringrazio il Lugano per avermi cercato e offerto questa opportunità. Con il tempo, quando ho dovuto smettere, mi si era spenta la fiamma per questo sport. Ma le soddisfazioni e le emozioni che mi regalano i bambini hanno fatto sì che questa fiamma si riaccendesse subito. Non mi definisco un allenatore vista l’età dei ragazzini U-11, ma più un formatore. Sono molto severo sulla disciplina ecerco di trasmettere ai ragazzini quello che mi avevano insegnato, accompagnandoli, supportandoli e offredogli i migliori strumenti per crescere sia come persona che come giocatore. Cerco molto il dialogo con loro per capire dove posso migliorarmi, imparo sempre qualcosa di nuovo ad ogni allenamento. Sono molto sensibile soprattutto alla loro vita al di fuori dell’hockey e mi assicuro che ci sia serenità e che siano felici. Elementi vitali per un bambino per crescere e svolgere al meglio qualsiasi attività e vita.
Christian, a soli 29 anni è dura guardare in TV o dal vivo le partite di hockey?
È un processo di accettazione, l’anno scorso non riuscivo nemmeno a guardarle in TV. Ora, prendendomi il mio tempo e soprattutto ascoltando il mio stato d’animo sto riuscendo a seguirle. Dal vivo ancora non riesco, ma sono fiducioso che il prossimo passo sarà quello. Quando ho smesso è stato difficile ma dall’altra parte non avevo scelta, quindi rispetto ad altri che magari si ritrovano senza contratto e devono constantemente cercare un impiego io invece non ho perso energie per pensare. Ma il vuoto che mi rimane per quello che avrei potuto raggiungere non lo riempirà nessuno.
Come considera la sua carriera?
Sono stato spesso confrontato con parecchi infortuni, la mia carriera è stata una montagna russa in tutti i sensi, lo sport se non sai gestirti dentro e fuori dal campo ti consuma. La notorietà e le opportunità che questa ti offre ti ingolosiscono a voler accedere a tutto. Da giovane nei primi anni della mia carriera ho fatto parecchi errori e ho pagato sulla mia pelle le conseguenze. Questo mi ha aiutato a trovare un equilibrio e a capire le basi necessarie per essere uno sportivo professionista. Non rimpiango nulla. Vedendo al giorno d’oggi i giovani con tutti questi canali social e con la facilità di crearsi delle opportunità che ti invogliano ad evadere dalla routine sportiva, gli consiglio che non bisogna per forza rinunciare a tutto, ma è importante capire quando è o non è il momento di farlo; Alla fine il sacrificio è solo una questione di prospettiva e la realtà è che siamo tutti essere umani.
Ha giocato in LNA con l’Ambrì e ma non ci è riuscito con il Lugano.
Quando ero ad Ambrì sotto la guida di Kossmann ci sono stati dei contatti con il Lugano mentre ero a Biasca e da parte mia c’era la volontà assoluta di partire, ma lui non mi ha lasciato perché sosteneva che gli sarei servito per i playout tenendomi posteggiato a Biasca. In fondo per l’approccio che ho poi portato a fine stagione ha avuto ragione, anche se nel mentre era stato esonerato ed è subentrato Gordye Dwyer.
E veniamo al Christian Stucki allenatore. Ci dicono che lei sia molto coinvolto nella nuova veste di coach dei ragazzini.
Innanzitutto ringrazio il Lugano per avermi cercato e offerto questa opportunità. Con il tempo, quando ho dovuto smettere, mi si era spenta la fiamma per questo sport. Ma le soddisfazioni e le emozioni che mi regalano i bambini hanno fatto sì che questa fiamma si riaccendesse subito. Non mi definisco un allenatore vista l’età dei ragazzini U-11, ma più un formatore. Sono molto severo sulla disciplina ecerco di trasmettere ai ragazzini quello che mi avevano insegnato, accompagnandoli, supportandoli e offredogli i migliori strumenti per crescere sia come persona che come giocatore. Cerco molto il dialogo con loro per capire dove posso migliorarmi, imparo sempre qualcosa di nuovo ad ogni allenamento. Sono molto sensibile soprattutto alla loro vita al di fuori dell’hockey e mi assicuro che ci sia serenità e che siano felici. Elementi vitali per un bambino per crescere e svolgere al meglio qualsiasi attività e vita.
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Quali obiettivi si è posto?
Non me non sono ancora posti. Cerco di ascoltare, osservare e imparare il piu possibile da chi è li ad allenare da piu anni per poi riflettere con la mia testa e le mie idee e se necessario, quest’utime, correggerle.
Si vede nel ruolo di tecnico a livelli superiori?
Non me non sono ancora posti. Cerco di ascoltare, osservare e imparare il piu possibile da chi è li ad allenare da piu anni per poi riflettere con la mia testa e le mie idee e se necessario, quest’utime, correggerle.
Si vede nel ruolo di tecnico a livelli superiori?
Mi piacerebbe e mi incuriosirebbe confrontarmi con ragazzi piu grandi, magari quelli che entrano nella fase adolescenziale responsabilizzandoli nelle scelte durante il loro processo di crescita sportiva inserendo anche la parte tattica hockeistica. L’idea di avere un opportunità e qualche responsabilità in più con potere decisionale magari anche osando e imparando dai miei errori, la valuterei.
Veniamo al presente: alla squadra bianconera e a quella biancoblù. Un giudizio.
Partendo dal Lugano: con l`ingaggio di Mc Sorley il popolo bianconero è diventato pretenzioso e meno paziente, pensavano che il suo ingaggio avrebbe facilitato e garantito nell’immediato l’arrivo dei risultati ma non è cosi che funziona nello sport. Ci vuole pazienza, progettualità, dedizione e soprattutto identità. Quest’ultima faccio ancora però fatica a intravederla. Quando ancora giocavo e affrontavi il Ginevra sapevi che sarebbe stata una battaglia e se ti volevi imporre dovevi pagare un prezzo. Ecco, mi piacerebbe rivedere quella rabbia agonistica e quella fame di vincere anche a Lugano. Ma la stagione è ancora lunga. Parlando dei biancoblù: sono dove devono essere e si stanno facendo trascinare dagli svizzeri. Quando guardo le loro partite mi trasmettono molte emozioni. È una squadra imprevedibile, il loro sistema d gioco ormai si è consolidato. Sarebbe curioso immaginare dove potessero essere se avessero un maggior contributo da parte degli stranieri.
Mc Sorley e Cereda: due tecnici che fanno discutere.
Fanno discutere sicuramente i tifosi a volte per le scelte che fanno, ma è il loro ruolo. Quando sei un allenatore e devi prendere delle decisioni ci sono aspetti che il tifoso non può né vedere né percepire durante la settimana. A me piacciono gli allenatori che osano: deve avere il coraggio, e non esiste coraggio senza paura.
Nel gioco moderno, si gioca prevalentemente fisico.
Secondo me non è una questione di moderno o antico. È una questione di gestione. Sta all’allenatore saper gestire un giocatore che è consapevole di avere qualità maggiori rispetto ad altri. Il fantasista non puoi snaturarlo e dargli troppe informazioni; per rendere al meglio deve sentirsi libero mentalmente di esprimere il suo gioco e questo a volte crea un conflitto tra allenatore, giocatore e squadra perché inevitabilmente a lui viene concesso di più e viene riservato un approccio diverso che con gli altri componenti della squadra. Di conseguenza un giocatore di questa caratura, se non sai gestirlo, può scambiare gli equilibri all’interno della squadra, a tal punto che un allenatore preferisce rinunciare.
In Ticino ci sono anche i Rockets.
Ho avuto la fortuna di giocarci al loro primo anno in LNB. Era un gruppo fantastico ed eravamo anche forti. Si era creato veramente un ambiente famigliare a partire anche dalla dirigenza. Eravamo praticamente solo ticinesi, l’allenatore anche. I risultati fecero fatica ad arrivare, ma poi durante l’arco della stagione ci siamo tolti davvero parecchie soddisfazioni. Ad oggi non conosco le dinamiche di spogliatoio perché non ne faccio più parte, ma quello che posso dire è che dopo il primo anno praticamente non ci sono stati più giocatori ticinesi che sono passati da lì per poi stabilizzarsi fissi in Lega Nazionale. Questo è un gran peccato ma dovrebbe anche far riflettere e capire dove si può far meglio.
M.A.
Veniamo al presente: alla squadra bianconera e a quella biancoblù. Un giudizio.
Partendo dal Lugano: con l`ingaggio di Mc Sorley il popolo bianconero è diventato pretenzioso e meno paziente, pensavano che il suo ingaggio avrebbe facilitato e garantito nell’immediato l’arrivo dei risultati ma non è cosi che funziona nello sport. Ci vuole pazienza, progettualità, dedizione e soprattutto identità. Quest’ultima faccio ancora però fatica a intravederla. Quando ancora giocavo e affrontavi il Ginevra sapevi che sarebbe stata una battaglia e se ti volevi imporre dovevi pagare un prezzo. Ecco, mi piacerebbe rivedere quella rabbia agonistica e quella fame di vincere anche a Lugano. Ma la stagione è ancora lunga. Parlando dei biancoblù: sono dove devono essere e si stanno facendo trascinare dagli svizzeri. Quando guardo le loro partite mi trasmettono molte emozioni. È una squadra imprevedibile, il loro sistema d gioco ormai si è consolidato. Sarebbe curioso immaginare dove potessero essere se avessero un maggior contributo da parte degli stranieri.
Mc Sorley e Cereda: due tecnici che fanno discutere.
Fanno discutere sicuramente i tifosi a volte per le scelte che fanno, ma è il loro ruolo. Quando sei un allenatore e devi prendere delle decisioni ci sono aspetti che il tifoso non può né vedere né percepire durante la settimana. A me piacciono gli allenatori che osano: deve avere il coraggio, e non esiste coraggio senza paura.
Nel gioco moderno, si gioca prevalentemente fisico.
Secondo me non è una questione di moderno o antico. È una questione di gestione. Sta all’allenatore saper gestire un giocatore che è consapevole di avere qualità maggiori rispetto ad altri. Il fantasista non puoi snaturarlo e dargli troppe informazioni; per rendere al meglio deve sentirsi libero mentalmente di esprimere il suo gioco e questo a volte crea un conflitto tra allenatore, giocatore e squadra perché inevitabilmente a lui viene concesso di più e viene riservato un approccio diverso che con gli altri componenti della squadra. Di conseguenza un giocatore di questa caratura, se non sai gestirlo, può scambiare gli equilibri all’interno della squadra, a tal punto che un allenatore preferisce rinunciare.
In Ticino ci sono anche i Rockets.
Ho avuto la fortuna di giocarci al loro primo anno in LNB. Era un gruppo fantastico ed eravamo anche forti. Si era creato veramente un ambiente famigliare a partire anche dalla dirigenza. Eravamo praticamente solo ticinesi, l’allenatore anche. I risultati fecero fatica ad arrivare, ma poi durante l’arco della stagione ci siamo tolti davvero parecchie soddisfazioni. Ad oggi non conosco le dinamiche di spogliatoio perché non ne faccio più parte, ma quello che posso dire è che dopo il primo anno praticamente non ci sono stati più giocatori ticinesi che sono passati da lì per poi stabilizzarsi fissi in Lega Nazionale. Questo è un gran peccato ma dovrebbe anche far riflettere e capire dove si può far meglio.
M.A.
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