Sport, 14 luglio 2022

Lugano Sharks nella bufera: Del Galdo è la soluzione?

Pallanuoto: stagione decisamente imbarazzante, tutti sul banco degli imputati

LUGANO - Stagione fallimentare? Imbarazzante? Indecorosa? La scelta la lasciamo al lettore, perché per noi addetti ai lavori, definire l’ultimo campionato dei Lugano Sharks risulta davvero difficile. Potremmo miscelare tutte queste sensazioni perché il Lugano l’ha combinata grossa facendosi estromettere ai quarti di finale (cosa che non capitava da oltre dieci anni) da un Carouge davvero modesto, al quale sono bastati alcuni guizzi di un paio dei suoi elementi per vincere alla piscina del Lido e in terra romanda. È stata una stagione costellata da errori e incomprensioni, il tutto da addebitare sul conto dei dirigenti e dello staff tecnico e di un allenatore (Carmine Argentiero) ben presto trovatosi in mezzo ad un deserto, consapevole che la squadra non lo seguiva più e demotivata fino al midollo nei playoff.


È vero che il team era in totale costruzione (dopo la partenza di alcuni big e l’inserimento di numerosi giovani), ma proprio per questo occorreva lasciare al tecnico il giusto tempo per far passare la sua filosofia. Argentiero sapeva che il club aveva sondato altri nomi per la panchina e che solo alla fine, visti i vari rifiuti di altri tecnici, hanno optato per lui. Una situazione non ideale, dunque. Sin dall’inizio della stagione, non tutti hanno remato nella stessa direzione e questo ha creato più confusione. Solo a sprazzi la squadra ha mostrato il suo valore (raggiungendo pur sempre la finale della Coppa Svizzera). Troppo poco!!! Per far felici i pochi fedelissimi fan, troppo poco… Per cercare di capire cosa sia successo, abbiamo sentito alcuni protagonisti della crisi, una delle peggiori della gloriosa storia del club ceresiano.
Cominciando da coach Carmine Argentiero, per poi proseguire con il responsabile della pallanuoto luganese Thomas Bächtold.


Argentiero si sfoga

Una stagione davvero negativa: risultati deludenti e le sue dimissioni ancor prima del finale di campionato?

Enorme delusione: quando il team ha giocato secondo le sue reali possibilità ha dimostrato di poter essere temibile, alla fine però è arrivato scarico fisicamente e mentalmente. Inoltre, abbiamo perso nei quarti da una squadra che avevamo già sconfitto durante la regular season.


A lei non è certo mancato il coraggio, ma inoltrare le dimissioni al primo anno fa veramente riflettere. Qualcosa all’interno dello spogliatoio o nella sede della società è accaduto… 
Dovevamo ricostruire e questo è un dato di fatto. Considerato il roster e il fatto che la squadra era già allestita, non ho potuto fare di più. Non dimentichiamo che durante la stagione abbiamo avuto ferimenti e malattie, impegni di lavoro e studio. Che hanno decimato un team dalla panchina già corta. E qualcuno si è auto escluso con il suo comportamento. Non mi sono lamentato di questa situazione, piuttosto mi ha amareggiato il comportamento del club. In svariate occasioni la società ha avuto occasione di tutelarmi ma non l’ha fatto, sia dal punto di vista professionale sia da quello personale. Di fronte a questa situazione è maturata in me la decisione di lasciare il comando degli Sharks. Viste anche certe ingerenze non potevo fare altro.


Ad un certo punto, malgrado il suo lavoro, la squadra è apparsa sempre più demotivata. Ma lei non ha commesso degli errori?
Io sono sempre stato critico con stesso e quindi ammetto di aver pure commesso degli errori. Se certe cose non vanno anche la motivazione viene a mancare. Comunque: lascio il club senza rancori, anzi serberò un bel ricordo per tutto il tempo. Ora però era giunto il momento di voltare pagina.


La replica di Bächtold

Thomas Bächtold, responsabile del settore pallanuoto, è logicamente amareggiato per il modesto risultato ottenuto dalla squadra.

Diciamo deluso. È vero che la squadra era meno forte sulla carta rispetto all’anno scorso, tuttavia, con gli effettivi al centro per cento ed in condizioni normali, a mio avviso il Lugano aveva il potenziale per arrivare in semifinale, e con un po’ di ottimismo addirittura per la finale dei playoff.
Comunque, l’obiettivo della stagione era un progetto di ricostruzione. La delusione è legata a questo aspetto.


A condizionare il team sono stati solo i ferimenti o quant’altro, o alla base di questo “flop” c’è dell’altro?
Durante la stagione il team è stato colpito da varie vicissitudini (malattie o altro che hanno pure costretto i giocatori ad interrompere gli allenamenti), è chiaro che tutto questo peggiora la situazione quando hai la panchina corta.


Dopo la partenza di Salvati, tutti si aspettavano l’inserimento del suo erede naturale, ossia Argentiero. Invece, prima di arrivare al suo nome avete sondato altre opzioni… 
La decisione di lasciare l’attività di Salvati purtroppo l’abbiamo saputa solo a inizio settembre. Muoversi sul mercato degli allenatori a settembre è tardi. Abbiamo in effetti fatto quello che era possibile per trovare una nuova soluzione. Ci siamo mossi come potevamo, tra i vari nomi figurava anche quello di Carmine, sul quale è poi caduta la nostra scelta.


Non è che questo fatto abbia minato la reciproca fiducia tra voi e Argentiero?
Non è un discorso di fiducia. In effetti se non vi fosse stata, non avremmo scelto Argentiero. Oltre al cambio di allenatore, abbiamo anche messo in atto un progetto di rinnovo del comitato. Il progetto di ricostruzione non era legato solo agli atleti e al lavoro di bordo vasca. Durante l’anno sono state fatte tutta una serie di modifiche strutturali in comitato che hanno anche comportato una modifica dei ruoli dirigenziali e delle relazioni con gli allenatori. Ci sono però altri fatti che comunque desidero non mettere in piazza, perché è corretto che siano state discusse tra allenatori e comitato. Con Carmine abbiamo avuto diversi colloqui durante la stagione e in cui i vari punti sono stati discussi. A lui diamo il merito di essersi messo in gioco in una condizione sicuramente non favorevole, specialmente per quanto riguarda il parco giocatori anche decimato a causa di vari infortuni o ad altro. Il comitato gli ha dato tutta l’autonomia sulla gestione della squadra, come da lui richiesto a inizio stagione e così è stato fino all’ultima partita.


Argentiero ha affermato che la società non lo ha sufficientemente tutelato… 
Parliamo di punti di vista e di percezioni. La pallanuoto a Lugano aveva bisogno di un rilancio organizzativo, che abbiamo affrontato con l’inserimento di nuove persone a ricoprire dei ruoli specifici in comitato. Oggi il comitato è composto di otto persone. Tutto questo ha ovviamente comportato delle difficoltà anche nelle dinamiche relazionali. Questo percorso a mio parere si sta evolvendo molto bene. Qualsiasi riorganizzazione di struttura e di processi ha bisogno di tempo per il rodaggio e questo non si risolve in un solo anno. Posso capire che dopo anni di abitudini sbagliate, la percezione sia sta quella di non essere stato tutelato. La mia percezione è però diversa.


Come siete arrivati a scegliere un allenatore di spicco come Jonathan Del Galdo?
Dopo il terzo colloquio stagionale con Carmine, il comitato della pallanuoto ha evidenziato delle lacune comunicative. Sulla scorta dell’esperienza della stagione precedente ha quindi iniziato a elaborare degli scenari sulla composizione tecnica del settore. Le dimissioni di Carmine hanno quindi accelerato le decisioni da prendere per quanto riguarda il ruolo di capo allenatore, considerando che nei nostre intenzioni Argentiero avrebbe dovuto mantenere un ruolo nello staff tecnico. Però posso capire il suo stato d’animo. Saputo delle sue dimissioni in Italia, i direttori sportivi hanno preso contatto con Del Galdo e spiegando il nostro progetto siamo riusciti a convincerlo ad accettare questa nuova sfida. A Del Galdo è piaciuta e si è completamente identificato con la nostra nuova filosofia. Direi che, come a suo tempo con Salvati, Jonathan è un tecnico di provate capacità, abituato alle sfide, motivato a far crescere questo magnifico sport anche in Svizzera.

GIANNI MARCHETTI

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