Sport, 23 gennaio 2023

L’esperto Eugenio Capodacqua: “Troppe morti inaspettate...”

Doping: le parole di Dino Baggio alla Gazzetta dello Sport scuotono il mondo del calcio

LUGANO - Eugenio Capodacqua è stato una delle firme più autorevoli di "Repubblica" e uno dei massimi esperti della lotta al doping nel campo del ciclismo e dello sport in generale. Ha scritto tantissimi articoli (soprattutto sui casi Pantani, Armstrong, Festina...) e si è creato una lista di nemici lunghissima.
Al contrario di molti suoi colleghi, che per interesse o perché avevano le fette di salame sugli occhi, il giornalista italiano non ha mai mollato la presa. E proprio in questi giorni, dopo le dichiarazioni dell’ex calciatore Dino Baggio alla Gazzetta dello sport in cui ha ammesso di prendere in passato molti farmaci e di temerne eventuali effetti letali – lo abbiamo intervistato per cercare di dare un significato e un peso alle parole del già centrocampista di Torino, Inter, Juventus, Parma e Lazio. E per capire se le morti di tanti sportivi d’elite, come quella recente di Gianluca Vialli, abbiano un nesso col doping.


Eugenio Capodacqua: il doping torna nuovamente alla ribalta, stavolta sul versante calcio. In una intervista alla 'Gazzetta' Dino Baggio, già giocatore della Nazionale, si è posto un interrogativo: “Prendevamo tanti farmaci, diteci se erano pericolosi” ha affermato. Parole inquietanti.
Dino Baggio ha dimostrato di essere una persona intelligente e coraggiosa. Non è facile sostenere certe tesi, sulle quali in molti concordano, peraltro, in un ambiente ipocrita e conformista come quello del calcio, dove di salute degli atleti e di abuso di farmaci non si parla quasi mai. Ha sollevato un problema molto complesso.


Malgrado abbia parzialmente corretto le sue parole, restano comunque pesanti i suoi interrogativi.
Il fatto è che è molto difficile se non impossibile stabilire il nesso fra uso o abuso di certi farmaci, pure leciti, e certe malattie o peggio, certe morti. Nessuno indaga scientificamente sull’argomento. Non ci sono riferimenti certi e lo spazio per chi specula sulla salute altrui si allarga. Chiediamoci piuttosto come nello sport, specie quello di vertice, il medico e la farmacia abbiano un ruolo così di primo piano. Somministrare farmaci – anche se consentiti - a persone sane, con il solo scopo di migliorare le prestazioni atletiche non corrisponde allo spirito del giuramento di Ippocrate e all’etica sportiva. Chi lo fa, a qualsiasi livello, è uno che disprezza il valore della vita umana.


Altre parole forti di Dino Baggio: “Tanti, troppi, quelli che se ne sono andati”.
Purtroppo di questo argomento, si parla solo dopo i casi clamorosi. Quando c’è di mezzo un atleta illustre, segno che siamo di fronte ad un sistema dove regnano ignavia e indifferenza. Eppure l’abuso di farmaci è ormai diffuso nello sport fino alle categorie giovanili. Basta dare una occhiata alle cronache. 



Ci viene il sospetto che Zdenek Zeman non avesse poi tutti i torti.
Zeman si è battuto molto alla fine degli Anni '90 contro il dilagare della farmacia nel calcio. Pensava ai rischi che correvano i calciatori, certamente. Oltre che all’illecito sportivo legato agli abusi. Ma ha ottenuto poco o nulla il boemo. Il sistema sport-spettacolo è un vero e proprio muro di gomma dove governa il dio denaro. Gli si è rivoltato contro, lo ha emarginato e rimosso. Come accade, spesso, ai poveri sventurati che osano tirare fuori le magagne. E le cose sono andate avanti così... “La Wada dice che l’Italia è il paese con la più alta diffusione del doping, in percentuale” ha detto Zeman in una trasmissione TV recente. Ma chi gli dà retta?


Che idea si è fatto su questa storia?
Che l’anti-doping gestito dal mondo dello sport, dove controllato e controllore coincidono per obiettivi, è una vera e propria farsa. Che nessuno vuole cambiare perché comandano solo il vil denaro e gli interessi dello sport-spettacolo. Che c’è uno sconcertante disinteresse generale dei media nei confronti di temi così delicati e complessi legati alla salute dell’individuo. Che purtroppo le morti servono a poco se non cambia l’atteggiamento culturale dentro e verso lo sport, ponendo in cima il rispetto della persona, non il risultato. Forse è un’utopia...


In passato lei aveva scritto articoli su queste vicende.
Certo. Quando avevo alle spalle un quotidiano che faceva giornalismo autentico, come quello che piace a me. Le cose però cambiano col tempo, anche i giornali. Oggi è molto difficile. Bisogna studiare molto, in varie discipline per avere competenza: dalla fisiologia alla tecnica di allenamento alla statistica. E paga poco. In Italia, come dico spesso, c è una legge-capestro sulla diffamazione che taglia le gambe anche al giornalista meglio intenzionato. Se non hai dietro un super ufficio legale è molto difficile fare battaglie così complicate e scomode. E questo è responsabilità della nostra beneamata classe politica, cui sembra proprio che della salute pubblica importi davvero poco. Peccato, perché così il giornalismo muore...


Al di là di tutto si rafforza l’ idea che anche nel calcio abbia trovato terreno fertile il doping negli ultimi 30/40 anni.
L’ Uefa nega da sempre, ma uno studio anonimo effettuato sulle urine di più di 4.000 calciatori nel periodo 2008-2013, ha rivelato che ben 879 atleti che avevano partecipato a Champions, Europa League e due campionati europei avevano valori di testosterone molto elevati nei test. 68 analisi, inoltre, denunciavano il possibile uso di altri steroidi anabolizzanti. Non credo che le cose sianocambiate da allora. I ritmi di gioco sono sempre più parossistici. C’è poco tempo per il recupero. E il fisico dell’atleta ha bisogno di tempo per ristorare fisiologicamente le proprie energie. Inoltre il calcio è uno sport di contrasto dove i traumi sono all’ordine del giorno. Tutto questo spinge verso un uso e spesso un abuso di farmaci. L’antidoping di fatto è impotente. Anche perché non si vuole andare a fondo del problema. Non conviene...E oggi più di qualcuno pensa che la farmacia faccia parte dei rischi del mestiere. Per me una cosa inaccettabile.


Veniamo al ciclismo: nei giorni scorsi è deceduto Lieuwe Westra, già compagno di squadra di Nibali. In circostanze non del tutto chiare. Che ne pensa?
Non possiamo dire nulla se non che recentemente si sono infittite queste morti inaspettate. Di sicuro nel ciclismo il fisico dell’atleta viene portato ai limiti estremi e questo comunque provoca danni. Insomma: bisogna avere il coraggio di dire che lo sport di vertice fa male alla salute, anche a prescindere dalla farmacia o, peggio, dal doping.


A proposito: qualcuno sostiene che il ciclismo sia uscito dalle farmacie. È vero?
Penso che il livello cui sono arrivate certe prestazioni, la forza e la potenza espresse in certe gare e in certe salite vanno ben oltre quanto suggerisce la fisiologia oggi conosciuta. Ergo: o riscriviamo la fisiologia o dobbiamo pensare che a quei traguardi si arriva in altro modo. In ogni caso il livello di ricorso ai farmaci nel ciclismo non è diverso da quello di tanti altri sport. Purtroppo negli ultimi decenni fra sport, farmacia e risultati si è creato un legame fortissimo e molto pericoloso. Ma nessuno vuole metterci mano. E i morti, intanto, aumentano.


I nuovi leoni del ciclismo sono tutti puliti? Pensiamo a Evenepoel, Van Aert, Pogacar, Van der Poel.
Non lo so e non lo posso sapere. Posso solo dire che, quanto a “pulizia” nell’ ambiente dello sport di vertice, non metterei la mano sul fuoco neppure per mio fratello.

MAURO ANTONINI

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