BOLOGNA (Italia) – 16 dicembre 2022: il mondo del calcio venne pugnalato dalla triste notizia della morte di Sinisa Mihajlovic. Una lotta contro una malattia, la leucemia, che alla fine non ha lasciato scampo all’ex calciatore e allenatore. A ricordarlo ci ha pensato Arianna Rapaccioni, sua moglie, che ha rilasciato un’intensa intervista a ‘Il Corriere della Sera’. “Nell’ultimo mese i medici mi avevano detto che sarebbe morto. Non sapevo se dirglielo, mi sono confrontata con tutti e cinque i figli, non l’ho detto a nessun altro. Abbiamo deciso di non dirglielo, per non togliergli quel lumicino di speranza. Lui non ci ha mai chiesto se ce l’avrebbe fatta, ha sempre lottato perché era un uomo che non avrebbe accettato di morire”.
“Mio marito aveva la leucemia ma non avevo messo in conto che potesse morire – ha continuato Arianna, compagna di Sinisa per 27 anni – Non sono stupida e sapevo che la sua malattia era importante, ma anche lui negava l’evidenza. Sinisa non leggeva i referti, non guardava su internet, voleva solo sapere quali cure fare, ha sperato fino all’ultimo di guarire. Ho lottato come un leone, ha fatto cure allucinanti, due trapianti, una cura sperimentale tostissima. Gli sono stata accanto negli ospedali per quattro anni. Mi ricordo i suoi occhi terrorizzati quando ci hanno detto che aveva una recidiva”.
Arianna ha voluto ricordare anche il momento dell’addio al suo amato Sinisa. “Per giorni io e i figli siamo rimasti a turno al suo fianco, mentre l’ultima notte eravamo tutti lì. I figli erano nella stanza accanto, c’ero io, sua madre, suo fratello con la moglie, il suo migliore amico, mia madre. Quando mi sono resa conto che il suo respiro era cambiato, ho capito che mancava poco e ho chiamato i ragazzi. Eravamo tutti in silenzio attorno a lui. Gli ho tenuto la mano, l’ho visto lottare col respiro più pesante e mi è venuto da dirgli: ‘Vai, non ti preoccupare, ai ragazzi ci penso io’. Solo in quel momento è spirato”.
Quella mano che Arianna si è sentita stringere una notte durante questo lungo anno. Un ricorso, una sensazione che mette i brividi. “Per mesi dopo la sua morte ho avuto sensazioni da chiedermi se ero pazza. Ho sentito della mani sulle mie, proprio delle mani che avvolgevano le mie. Una notta l’ho sentito stendersi accanto a me nel letto, ho avvertito il materasso che sprofondava da una parte. Poi ho cominciato a parlare con altre persone che avevano subito un lutto e ho scoperto che non ero io pazza, ma che queste esperienze appartengono a molti. Sentivo il rumore delle sue ciabatte in cucina, lui portava in casa sempre ciabatte che scricchiolano tanto. È successo per mesi, ora non più. Ma forse erano suggestioni dettate dal pensiero costante che ho di lui”.