Sport, 14 ottobre 2024

Primo nel cuore di Petra: tra sabbia, rocce e… cani

Il maratoneta Filippo Rossi racconta la vittoria nel deserto giordano e il suo futuro

LUGANO - Filippo Rossi, maratoneta con alle spalle numerose competizioni estreme, ha recentemente ottenuto un importante successo nella gara del deserto in Giordania. Per lui, questa vittoria non è stata solo il risultato di un lungo percorso di preparazione fisica, ma anche il coronamento di un sogno coltivato per anni in un luogo speciale. Dopo aver affrontato vari ostacoli, tra cui le guerre in Siria e Israele, Rossi è riuscito finalmente a partecipare alla competizione, chiudendo un capitolo significativo della sua carriera sportiva. In questa intervista ci racconta il suo rapporto unico con il deserto e le motivazioni che lo hanno spinto a fare di questa prova l'ultima sfida di questo tipo. 



Come descriverebbe il suo rapporto con il deserto e cosa ha significato per lei vincere questa maratona in particolare? 
Per me, ognuno ha la propria realtà, ma ho sempre vissuto il deserto come una sfida accattivante, capace di mettermi alla prova in maniera sempre diversa. Ogni deserto mi ha stimolato in modi unici, ma questo in particolare ha un significato speciale. Nel 2000, mi sono allenato qui per mesi, lo conoscevo già bene. Ho sempre sognato di vincere in questo luogo, ma per tanto tempo non è stato possibile, a causa delle guerre in Siria e Israele. L’anno scorso, ad esempio, la gara è stata rinviata proprio per questi motivi.


Eppure il destino ha voluto che lei corresse quest'anno. Crede che ci sia stata una sorta di coincidenza fortunata? 
Assolutamente sì, è stata una questione di destino. L'anno scorso non potevo partecipare, avevo già altri impegni e gare programmate che si accavallavano. Poi, quando hanno rinviato la maratona, ho sentito che era un segno. Ho deciso di buttarmi completamente in questa gara, era una sensazione forte: dovevo farla, sentivo che dovevo. E così è stato. 


Ha deciso che questa sarebbe stata la sua ultima gara nel deserto. Come mai? 
Sì, questa è stata la mia ultima gara nel deserto. Il deserto mi ha insegnato tanto nel corso degli anni, ma dopo un po' è diventato monotono. Mi ha sempre messo alla prova, ma sentivo il bisogno di nuovi stimoli. Era il momento giusto per chiudere questo capitolo della mia carriera. Se dovessimo paragonare il suo impegno a quello di uno sportivo professionista, come descriverebbe la differenza fra il suo tipo di sfida e quelle più comuni? Se vogliamo metterla a confronto con uno sportivo professionista come un tennista o un calciatore, loro giocano sempre sullo stesso campo, sullo stesso terreno, e le loro prestazioni sono limitate nel tempo. Le partite sono intense, certo, ma durano poche ore. Le nostre gare, invece, vanno avanti per una settimana intera. Questo tipo di sfida, alla lunga, ti stanca davvero, fisicamente e mentalmente. E quindi, dopo anni di gare nel deserto, mi sono detto: “Va bene, faccio quest'ultima e poi basta, mi fermo!”. Vincere in questo modo è stato ancora più speciale perché è stato il coronamento di tutto il lavoro fatto, dei sacrifici e delle sofferenze degli ultimi dieci anni.


Può raccontarci un po' di più sulla struttura della gara? Da dove è partito e come si sono sviluppate le tappe? 
Certo. Questo tipo di gare si svolge su distanze molto lunghe, parliamo di 250-500 chilometri, divisi in tappe. In questa gara, in particolare, la distanza era di 250 chilometri, suddivisi in sei tappe. Diciamo cinque e mezza, perché l'ultima era solo di 5 chilometri, più una passerella finale per celebrare l'arrivo. I primi quattro giorni abbiamo avuto tappe da 35-40 chilometri ciascuna, mentre l'ultima, la cosiddetta 'tappa lunga', è stata di ben 90 chilometri. 


Quindi, oltre alla distanza, quali sono stati gli altri aspetti più impegnativi della gara? 
Oltre alla distanza, c'è la difficoltà logistica e ambientale. Correre in un deserto significa affrontare un clima estremamentesecco e temperature elevate: durante la gara abbiamo avuto giornate con 45-46 gradi. Inoltre, la notte si dorme in tenda e bisogna portarsi tutto con sé. Ogni partecipante deve trasportare uno zaino con tutto l'occorrente: il cibo, il sacco a pelo, il ricambio per dopo la gara, e altri oggetti essenziali come la giacca e la lampada frontale. Bisogna essere bravi a calcolare cosa portare e ridurre tutto al minimo indispensabile, tagliando anche lo spazzolino o scegliendo lo specchietto più piccolo. Questa preparazione minuziosa fa parte della sfida. 


Ma durante la corsa riesce anche a godersi le bellezze del deserto? Come vive questi momenti? 
Sì, sicuramente! Anche se è una maratona e sei concentrato, c'è sempre il modo di apprezzare ciò che ti circonda. Ovviamente, se uno fa un trekking a piedi con calma, riesce a gustarsi ogni dettaglio molto meglio. In questo deserto specifico, lo conoscevo già bene per i miei allenamenti del 2000, quindi non mi sono fermato troppo a osservare, ma comunque ci sono stati nuovi scorci spettacolari che ho scoperto, e anche correndo velocemente li ho apprezzati. Mi ricordo un paio di momenti durante la gara che sono stati davvero mozzafiato, come quando siamo passati tra i canyon o su sentieri rocciosi, e poi siamo scesi dalle dune... una vera meraviglia. È stato incredibile e me li ricorderò sempre come momenti speciali. 


Immagino ci siano stati anche tratti meno piacevoli. Come gestisce quei momenti? 
Ci sono sicuramente dei pezzi che sono più monotoni, quelli dritti e collinari, soprattutto quando cala la notte e tutto diventa buio. Lì non vedi più nulla, c'è solo la luce della tua lampada frontale e segui la bandiera. In quei momenti devi un po' 'spegnere il cervello' e semplicemente andare avanti. Però ci sono anche situazioni particolari che aggiungono una sfida ulteriore, come quando incontri i cani randagi o i cani da pastore. Questi ultimi sono molto territoriali e a volte ti abbaiano e ti vengono addosso. Io, per fortuna, ho imparato a gestirli e riesco a spaventarli per farli andare via, ma per chi non è abituato può essere un bel problema. Serve sangue freddo e la capacità di non farsi prendere dal panico. 


E in futuro cosa la aspetta? Il deserto ormai è un capitolo chiuso, ma per quanto riguarda le corse... 
Ne stavo proprio parlando con il mio allenatore, cercando di capire cosa fare ora. Ho deciso che basta con questo tipo di gare così dure, soprattutto quelle dove devi portarti lo zaino con tutto l'equipaggiamento. La preparazione è lunga e davvero faticosa, e per ora non sento più il bisogno di affrontare questo tipo di sfide. Mi piacerebbe invece partecipare a gare a tappe che offrano un po' più di comfort, dove magari qualcuno ti porta la borsa al campo e trovi già il cibo pronto. In questo modo, posso concentrarmi sulla corsa, portando solo uno zainetto leggero per la giornata, e magari provare ad andare anche un po' più veloce, senza il peso di nove chili sulle spalle. Poi vorrei anche tornare alle montagne, alle nostre Alpi, fare un po' di trail lunghi. Sono gare che mi hanno sempre divertito, senza preoccuparmi troppo del risultato, ma solo per il piacere della corsa. Però, nelle prossime gare a tappe, vorrei anche provare a ottenere un buon risultato, rimanere in forma e vedere dove questo mi porterà.


MAURO BOTTI

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