All'indomani dell'annuncio della fine dei negoziati sull'accordo con l'Unione europea, da parte dell'UE e dei suoi paesi membri praticamente nessuno commenta l'esito dei negoziati. Secondo il Blick, che giudica questo silenzio come anomalo, i politici europei sanno l'annuncio di venerdì del Consiglio federale, confermato anche dalla visita a Berna della presidente della Commissione Ursula von der Leyen questo sabato 21 dicembre, segna l’inizio di una nuova maratona politica svizzera. Sanno che l'opposizione, guidata dall'Udc, prepara la sua offensiva e sono consapevoli delle richieste dei sindacati, che chiedono misure di sostegno interno per compensare i rischi di dumping sociale legati alla libera circolazione.
I negoziatori di Bruxelles si rifiutano inoltre di parlare, a differenza dei loro omologhi svizzeri, di clausola “unilaterale” riguardo alla possibilità di limitare l'immigrazione. Si tratterebbe infatti di una clausola da utilizzare nell'ambito di un accordo tra le parti o previa autorizzazione del tribunale arbitrale creato nell'ambito di questo nuovo pacchetto di accordi. In breve, a condizioni molto specifiche. È inoltre impossibile conoscere l’importo del futuro contributo svizzero alla coesione (aiuti ai nuovi paesi membri dell’UE), che si dice triplicherà rispetto alle dotazioni precedenti. Verrà quindi richiesto il libretto di assegni svizzero? “Sì, ed è normale”, spiega un diplomatico. La nostra base di calcolo è il contributo della Norvegia, un altro paese partner dell’Unione. La Svizzera deve pagare per il consolidamento di questo mercato europeo essenziale per la sua economia”.
Silenzio anche a Bruxelles. Caso raro, il commissario slovacco Maros Sefcovic, capo negoziatore europeo, secondo le nostre informazioni, è intervenuto più volte questo martedì durante il Consiglio dei ministri dei 27 per raccomandare “la massima cautela nella comunicazione” agli Stati membri. Al riguardo è intervenuta anche l'Ungheria, che assume ancora per qualche giorno la presidenza semestrale dell'Unione prima di essere sostituita dalla Polonia il 1° gennaio. “Gli svizzeri sono un po’ come noi ungheresi. Sono molto permalosi. Meglio quindi stare attenti”, ripete spesso dall’inizio di luglio l’editorialista del quotidiano Nepszava nei corridoi del Consiglio europeo.
Ma attenzione: il silenzio non significa indulgenza. Dopo tre anni di negoziati dal rifiuto unilaterale del progetto di accordo istituzionale, gli europei che conoscono la questione svizzera non nascondono più la loro stanchezza. Conoscono il funzionamento della democrazia diretta. Conoscono i rischi di un referendum, previsto per il 2028. E preferiscono quindi impostare la scena: "Se dicono ancora no all'Europa, gli svizzeri la pagheranno cara", continua l'ex negoziatore europeo contattato da Blick. Senza arrivare, però, a specificare cosa ciò significherà.