“Nell'Inferno del Nord – ci ha detto il corridore di Baden al telefono – partiamo favoriti. Mathieu ha nelle corde la tripletta. Siamo pronti ad appoggiarlo. E poi su questo tracciato io ho dei buoni ricordi“.
Come non ricordare, a questo proposito, il bellissimo secondo posto dello svizzero del 2018.
Qualcuno ha detto o scritto che il secondo è il primo dei perdenti. Ma mai come quella volta ho capito che non è affatto vero: arrivare alle spalle di un vincitore come Peter Sagan in una Parigi-Roubaix per me ha avuto il sapore di un trionfo. È vero: il mio nome non figura sull'albo d'oro, tuttavia quel giorno mi resi conto di aver compiuto un'impresa e che in fondo quel secondo posto valeva come un successo…
Addirittura?
Certo, per tutta la fase finale della classica pensai che quella sarebbe stata un'occasione più unica che rara di entrare nella storia. Del resto, la Roubaix spesso ha premiato corridori non di primissimo piano. Ci speravo, ho pensato come sorprendere Sagan. Ma lui era troppo forte: quando mi misi alla sua ruota, mi sembrava di essere su una moto in piena velocità. Così mi preparai mentalmente allo sprint, sapendo che non avevo molte chances di spuntarla. O meglio: di non avere nessuna possibilità. In quel periodo lo slovacco era imbattibile negli sprint. Ci provai ma andò male. Quando tagliai il traguardo non ero deluso: era arrivato secondo dietro ad un campione in una prova definita monumento. A mio modo aveva contribuito a rendere epica quella gara.
Secondo al traguardo ma anche grande protagonista sin dalle prime fasi di gara.
Andammo in fuga con un gruppetto dopo appena 50 chilometri di corsa, accumulando un vantaggio di quasi 9 minuti. Poi dietro si mossero i vari Gilbert, Vanmarcke, Terpstra e Sagan e il distacco diminuì sensibilmente. Ad un certo punto il nostro tentativo finì e e allora se ne andò Stybar nei pressi della foresta di Arenberg. Ma anche lui non fu molto fortunato. Poi ai -54 dal traguardo ecco il veemente scatto di Sagan.
Micidiale: solo lei seppe rispondere.
Doveva scrollarsi di dosso corridori pericolosi come Terpstra, Gilbert e Van Avermaet e lo fece con decisione. Mi incollai alla sua ruota, insieme a Jelle Wallays, che faceva parte del tentativo della prima ora. Ma anche il belga mollò e restammo in due. Sagan aumentò il ritmo e scavammo un vantaggio di oltre un minuto. Non ci avrebbero più ripreso.
Cosa pensò a quel punto? Di emulare Cancellara (già vincitore in tre occasioni della Parigi-Roubaix)?
Sognare fa bene all'anima. Non nego che un pensierino alla vittoria ce lo feci. Però ero molto realista; sapevo che avevo davanti un campione e che sarebbe dovuto succedere qualcosa di imponderabile per impedirgli di vincere la Roubaix. Del resto, in quegli anni lo slovacco dominava su ogni terreno: aveva vinto tre Mondiali di fila (2015, 2016 e 2017, ndr) e pure un Giro delle Fiandre(2016, ndr).
Senza calcolare le numerose tappe vinte al Giro e al Tour. Insomma, il numero 1, batterlo era davvero difficilissimo! E infatti in volata non ci fu storia.
Sagan dopo l'arrivo fece un bel gesto Mi guardò e mi prese il braccio, alzandolo al cielo. In quel momento legittimò la mia corsa. Per lui ero stato un grande rivale. E quando me ne tornai a casa mi resi conto di aver fatto qualcosa di incredibile. Secondo sì, ma ero stato battuto soltanto da un Fenomeno. Ero il primo dei corridori normali.
Fra l'altro lui vestiva la maglia iridata e lei quella di campione svizzero!
Se non sbaglio era la prima volta dopo 37 anni che un vincitore di un Mondiale si imponeva nella Parigi-Roubaix. Era capitato a Bernard Hinault. Poi, sino a Sagan, più nulla. Ma quella fu per il ciclismo fu anche una brutta giornata. A parte le numerosissime cadute, la Parigi-Roubaix costò la vita al corridore belga Michael Goolaerts, che finì a terra nel tratto di pavé di Viesly e in serata morì in un ospedale di Lilla per un arresto cardiaco.
MAURO ANTONINI