Sport, 18 aprile 2025

James Hunt, pilota e uomo sempre controcorrente

La storia del campione del mondo inglese che a soli 46 anni morì di infarto

LUGANO - James Hunt è stato uno dei piloti più anti-conformisti della formula 1. Forte in pista – uno dei migliori della sua epoca, sono parole del compianto Clay Regazzoni – e sempre a caccia di emozioni fuori, ha vissuto a cento all’ora sin quando ha potuto, sin quando un infarto lo ha stroncato a soli 46 anni per l’abuso di alcol e di fumo. Una morte che colpì profondamente tutti coloro che lo avevano conosciuto ed apprezzato. Anche Niki Lauda, con il quale nel 1976 inscenò un memorabile duello nella caccia al titolo iridato. Di lui l’austriaco disse: “Ho combattuto aspre battaglie contro l’inglese. L’ho odiato sportivamente, mi faceva rabbia ogni volta che lo vedevo. Alla fine, però, dopo averlo conosciuto bene, ho capito che era una brava persona. Al di là delle nostre sfide, ci siamo sempre rispettati”. 



James, detto The Shunt (lo schianto) per i suoi innumerevoli incidenti provocati nella gare delle formule minori, lasciò le corse tre anni dopo aver vinto il Mondiale al Fuji (1976) “perché l’uomo ormai non conta più, conta soltanto il mezzo meccanico” disse. Un concetto, quello espresso dal lungimirante britannico, che calza a pennello alla formula 1 attuale in cui a contare è soprattutto la tecnologia.


L’eccentrico Lord Hesketh
Ma nei primi anni di carriera Hunt non era molto amato dai suoi giovani colleghi per via del suo carattere un po' garibaldino. Una certa volta volta si prese a spintoni con Dave Morgan e i due per poco non vennero alla mani dopo una gara caratterizzata dalle reciproche scorrettezze. Correva l’anno 1970, e si correva al Crystal Palace. Hunt riuscì ad evitare una pesante sanzione, al contrario di Morgan che venne squalificato dai commissari. Anni tumultuosi, insomma, sin quando viene notato da un personaggio della nobiltà inglese, Lord Alexander Hesketh, che lo prende sotto la sua ala protettrice e grazie a lui approda in formula 1. I due formano una coppia pazzesca: sul loro conto i tabloid ci costruiscono storie da milioni di copie. E così nel 1974, per merito (anche) di Harvey Postlethwaite, un ingegnere dalle idee rivoluzionarie, i due partecipano al Mondiale con una monoposto nuova fiammante: la Hesketh appunto. Alle sue prime apparizioni, Hunt dimostra di avere grinta, determinazione e classe. “Voglio il titolo iridato”afferma il pilota inglese al termine della stagione. Purtroppo per lui il team comincia ad aver problemi di liquidità e Lord Hesketh è costretto a lasciare la formula 1. Hunt è disperato, si trova senza macchina; per lui inizia un periodo difficile nell’affanosa ricerca di un sedile. Poi ecco la buona notizia: Teddy Mayer, boss della Mc Laren, deve sostituire l’ex campione del mondo Emerson Fittipaldi, che ha appena fondato una scuderia tutta sua, la Copersucar, finanziata da imprenditori brasiliani. Senza indugi il manager inglese si rivolgea Hunt, che adesso, dopo il praticantato con la Hesketh, ha una macchina per vincere il Mondiale.


Incidente fatale
E così al termine di una battaglia senza esclusione di colpi con la Ferrari di Niki Lauda, nel 1976 Hunt vince il suo unico titolo Mondiale che dedica all’amico Hesketh, che lo aveva aiutato ad arrivare in formula 1. Tutto sembra correre per il meglio sin quando, due anni dopo, James si trova coinvolto nella terribile carambola di Monza durante il Gran Premio d’Italia, in cui perde la vita il suo amico Ronnie Peterson. Hunt accusa Riccardo Patrese di aver provocato l’incidente avvenuta alla partenza e risulta letale per lo svedese. In realtà leriprese televisive dimostrano che la responsabilitàdel’incidente era da attribuire a diversi piloti, fra i quali lo stesso Hunt. Per lui fu una botta tremenda,fu un momento particolarmente triste. Le polemiche post-Monza aprono ferite profonde nel mondo del Circus e anche nell’anima di Hunt che soltanto un anno prima aveva segnalato a Teddy Mayer un giovane pilota di belle speranze: Gilles Villeneuve


Una pietra rotolante
Dopo il Gran Premio d’Italia Hunt comincia a meditare il ritiro (che avverrà l’anno dopo). Per lui inizia una nuova vita, anche se in realtà era solo la continuazione della precedente, fatta di corse, vittorie, fumo, droga e avvenenti donne. L’inglese è bello ed affascinante e nel mondo della formula 1 anche alcune mogli di altri piloti gli strizzano l’occhio e lui, comunque rispettoso dei colleghi, cerca di soprassedere. In quegli anni gode della fama dit ombeur de femme.


Purtroppo James è sempre più dipendente dall’alcol e dalle droghe. È come una pietra rotolante. I suoi migliori amici Ronnie Peterson e Jody Scheckter cercavano di sconsigliarlo dal compiere eccessi. Ma invano. L’inglese non si sente realizzato e la separazione dalla prima moglie Suzy Miller lo ha reso fragile. L’aveva conosciuta nel 1974 durante il Gran Premio di Spagna; fra di loro scattò la scintilla. Si sposarono nello stesso anno ma il matrimonio durò poco: la modella lo lasciò per mettersi con un uomo più vecchio di lei, l’ attore Richard Burton, ex di Elisabeth Taylor. Fu proprio il gallese a pagare le spese del divorzio. Ma Hunt non se ne curò molto e nel 1982 sposò Sarah Lomax, dalla quale avrà due figli (Tom e Freddie). Il loro sodalizio durò sei anni e poi l’inglese, caduto nel frattempo in depressione, incontrò una giovane 18enne, Helen, l’ultima donna che lo accompagnò nei suoi ultimi anni di vita prima di morire il 15 giugno del 1993, quando era commentatore della BBC. Ancora oggi Hunt è ricordato con affetto dai suoi fans e dagli ex piloti dell’epoca.


JACK PRAN

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