TICINO - L’agricoltura di montagna in Ticino si trova a un bivio critico: la crescente presenza del lupo non minaccia solo gli animali al pascolo, ma un intero ecosistema sociale e culturale. Il Consigliere di Stato Norman Gobbi avverte che l’aumento degli attacchi sta spingendo molti allevatori a rinunciare all’attività. Non è solo un problema economico, ma la possibile scomparsa di una civiltà alpina che ha modellato il territorio nei secoli.
“Gli enti patriziali, che da secoli gestiscono gran parte del territorio montano, oggi sono in difficoltà: i loro terreni perdono valore, gli affittuari spariscono e intere aree rischiano di rimanere inutilizzate”, rimarca Gobbi. Il rischio non riguarda solo i pascoli, ma anche le proprietà collettive che hanno rappresentato il cuore pulsante dell’economia alpestre ticinese.
Ma il vero pericolo riguarda l’identità culturale. “Abbandonare l’agricoltura di montagna significa dire addio a formaggi d’alpe a latte crudo, salumi artigianali, vini di quota, polenta, risotti e ricette che custodiscono la memoria del territorio”, sottolinea Gobbi. Senza pastori, alpeggi e artigiani del gusto, il Ticino perde sapore, storia e autenticità.
L’Analisi cantonale 2024 ha già richiesto l’abbattimento parziale di due branchi, ma “non basta. Serve un approccio integrato: misure di protezione più efficaci, sostegno agli allevatori e incentivi per i patriziati”, insiste Gobbi. Con l’abbandono, anche la biodiversità rischia di sparire: la riforestazione spontanea non potrà mai sostituire l’equilibrio creato dall’interazione tra uomo e paesaggio.
“La sfida è urgente”, chiosa il Consigliere di Stato. “Senza interventi mirati, il Ticino rischia di perdere per sempre la sua agricoltura di montagna, la gastronomia d’eccellenza e il sistema di valori che ha plasmato le valli.”