In queste ore Damasco scalpita. Tutto è pronto per l’offensiva di Idlib che chiuderà la partita con i ribelli e, molto probabilmente, anche la guerra in Siria. Una guerra che è proseguita per sette anni anche a causa dell’intervento di Paesi stranieri – Stati Uniti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita in testa – che hanno aiutato, chi con le armi e chi con i soldi, i ribelli. È per questo che il conflitto, per terminare definitivamente, ha bisogno anche di una soluzione politica.
Ieri, il giornale libanese
Al Akhbar ha riportato un’interessante notizia: a fine giugno, un alto ufficiale americano, accompagnato da membri di diverse agenzie di intelligence statunitensi, avrebbe incontrato a Damasco il generale Ali Mamlouk, capo dell’ufficio di sicurezza nazionale siriano. Nel corso del colloquio, i funzionari americani avrebbero proposto di ritirarsi dalla Siria, ma ad alcune condizioni:
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Il ritiro dell’Iran dal sud della Siria
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.La possibilità per le aziende statunitensi di ricevere una quota nel settore petrolifero nella Siria orientale
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La lista dei membri combattenti stranieri, sia quelli vivi che quelli deceduti, che in questi anni hanno raggiunto i movimenti terroristici nel Paese, considerando che “la minaccia terroristica è intercontinentale e possiamo mettere queste informazioni al servizio della sicurezza internazionale”
Queste richieste, però non sono state accettate da Damasco. Il generale ha infatti risposto che gli Usa sono “una forza di occupazione in Siria, entrata nel nostro territorio con la forza senza permesso e potete uscire allo stesso modo. Finché ciò non accadrà, continueremo a trattarvi come una forza di occupazione”. Fatta questa premessa, Mamlouk ha spiegato che “la Siria fa parte di un ampio asse” e che esiste un “rapporto solido” con l’Iran e gli Hezbollah, “le forze alleate che hanno combattuto i terroristi fianco a fianco all’esercito siriano”.
Come è stato detto più volte, anche dallo stesso presidente Bashar al Assad, la Siria verrà ricostruita da quei Paesi che
in questi anni non l’hanno abbandonata e che, sono le parole del generale, “non hanno cospirato contro il popolo siriano”. Per questo, prosegue Mamlouk, “non è nel nostro pensiero offrire agevolazioni o dare servizi alle aziende appartenenti ai Paesi chi ci hanno fatto la guerra e lo stanno facendo ancora”. Tuttavia, più avanti, quando sarà finita la ricostruzione, “le aziende statunitensi potranno entrare nel settore energetico siriano attraverso società occidentali o russe. Consideriamo questo un gesto di buona volontà in risposta alla vostra visita”.
Ma è sulla minaccia terroristica che sembrano esserci maggiori convergenze: “Abbiamo un’enorme struttura informativa sui gruppi terroristici, che si è sviluppata considerevolmente durante gli anni di crisi. Siamo pienamente consapevoli dei pericoli rappresentati da loro su di noi e su di voi, ma siamo altrettanto consapevoli della portata del vostro bisogno di queste informazioni, e sappiamo che alla base delle funzioni dei servizi di sicurezza c’è il continuare a rimanere in contatto anche durante le crisi”.
E qui Mamlouk svela qualcosa di interessante, che fa capire come su questo tema Damasco abbia continuato a collaborare con le altre nazioni: “Abbiamo già fornito informazioni ai giordani e a molti altri Paesi, compresi gli Emirati Arabi Uniti. Ma la nostra posizione in merito, oggi, è legata all’evoluzione della vostra posizione politica verso la Siria, dal suo sistema politico e dall’esercito. Pertanto, la Siria non inizierà alcuna cooperazione o coordinamento di sicurezza prima di raggiungere una stabilità nelle relazioni politiche tra i due Paesi”. A prova di questa volontà di collaborare per fermare il terrorismo internazionale, val la pena sottolineare come lo stesso Mamlouk, negli scorsi mesi, avrebbe incontrato a Roma il direttore dell’Aise, Alberto Manenti.
L’incontro si è concluso con un nulla di fatto. Almeno per il momento. Ma lo stesso giornale libanese fa sapere che i colloqui proseguiranno attraverso il canale russo-emiratino. Gli Usa sono quindi intenzionati a lasciare la Siria. Ma le condizioni ora le detta Damasco.
(Via gliocchidellaguerra.it)