Mondo, 05 dicembre 2018

I gilet gialli assediano Parigi, ma la rivolta può diventare europea

I gilet gialli tornano a invadere il centro di Parigi. E la manifestazione assume adesso i caratteri di una protesta permanente, violenta e senza apparenti vie di dialogo. La richiesta dei manifestanti era chiara, almeno all’inizio: non voglio l’aumento del prezzo dei carburanti voluto da Emmanuel Macron. Ma adesso la questione è diversa: vogliono la caduta di Macron e del suo esecutivo.

Subito dopo le prime proteste, era apparso chiaro che non potesse trattarsi soltanto del caro-carburanti. Come viene ben spiegato qui, è la Francia profonda, marginalizzata da questa presidenza, a essere scesa in piazza. Non è solo l’aumento di alcuni centesimi sul costo di benzina e gasolio ad aver scatenato centinaia di migliaia di manifestanti che prima hanno paralizzato l’intero Paese e poi hanno invaso il centro di Parigi. C’è qualcosa di più profondo che anima la Francia.



È una protesta contro un governo e contro un presidente da cui la parte più vasta e profonda del Paese non solo non si sente rappresentata, ma anche totalmente esclusa. E adesso, questo sentimento è esploso con una violenza che in molti non si aspettavano. Sicuramente nemmeno la polizia francese, che per il secondo fine settimana consecutivo si è ritrovata il centro della capitale completamente messo a soqquadro da migliaia di manifestanti. E le violenze non accennano a diminuire, diventando ogni volto più feroci.

Ma se in Francia c’è un problema, come dimostrato in queste ultime ore, nel resto d’Europa la situazione rischia di essere tutt’altro che serena. L’arrivo dei gilet gialli a Bruxelles è stato un segnale abbastanza chiaro del tipo di sfida che rappresenta questo nuovo tipo di protesta per quei governi che rappresentano politiche che appaiono lontane dalle parti più profonde e radicali dei rispettivi Paesi. 



Ieri, i manifestanti belgi, ispirati dal movimento francese, hanno bloccato il traffico di Bruxelles, paralizzandone il centro. La gente scesa in strada (meno di un migliaio dicono dal ministero dell’Interno) ha iniziato un fitto lancio di sassi nelle vicinanze degli uffici del premier Charles Michel. La polizia, per disperdere i manifestanti, ha usato i cannoni ad acqua e i lacrimogeni. E a pochi passi dal quartiere istituzionale dell’Unione
europea, la protesta, iniziata pacificamente, ha preso i connotati di una vera e propria manifestazione violenta.

Come a Parigi, i dimostranti hanno dato alle fiamme due auto delle forze dell’ordine e hanno lanciato petardi contro la sede della Commissione europea. Sono stati circa 60 i manifestanti fermati dalla polizia, che adesso teme che la protesta possa assumere caratteri ben più importanti rispetto a quanto avvenuto questo venerdì.



Nel sud del Belgio, a maggioranza francofona, il movimento ha trovato il modo di attecchire più facilmente. Da circa una settimana si tengono proteste dei cosiddetti Gilets jaunes vicino alle stazioni di servizio. E come nel caso francese, il senso di frustrazione non riguarda realmente il prezzo della benzina, ma in generale il crollo del potere d’acquisto e l’impoverimento dato dalle ultime riforme economiche.

La crisi ha lasciato ferite molto profonde. E come nel caso della Francia, anche in Belgio la protesta è diventata un grido contro il governo e viene chiesta la fine dell’esecutivo guidato da Michel (tra l’altro molto affine a Macron). “Il nostro premier guadagna 25mila euro al mese mentre noi viviamo con 1.200 euro, cresciamo i figli, paghiamo l’affitto, le tasse e non ne abbiamo mai abbastanza”, ha detto uno dei manifestanti di Bruxelles ai microfoni di Euronews. “Siamo schiavi, lavoriamo in modo che loro possano vivere come dei re”, ha aggiunto l’uomo.



E da queste parole, si evince chiaramente che non è una protesta che può essere arrestata con il semplice cambiamento di rotta su una riforma. È un malcontento profondo e radicato, che esplode in maniera anche ridotta nei numeri ma estremamente violenta. E proprio per queste sue caratteristiche, malcontento, spontaneità e rapidità dell’organizzazione, rischia di diventare una forma di protesta molto diffusa in tutti i Paesi europei dove l’opposizione al governo è radicata e trasversale.

Come in Francia, appunto. Dove Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, leader della destra e della sinistra radicale, sostengono pienamente le manifestazioni. Quella che doveva essere una protesta contro il caro-carburanti, sta diventando una rivolta contro le élite. E i suoi contorni iniziano a essere non solo sempre più sfumati ma anche sempre più estesi.

(Via gliocchidellaguerra.it)  

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