Come c’era da aspettarsi, le istituzioni della fallita Unione europea avrebbero trovato un compromesso (?) sull’annosa questione delle indennità di disoccupazione dei frontalieri.
Il compromesso, ma tu guarda i casi della vita, comporta che gli svizzerotti verranno infinocchiati per l’ennesima volta. Infatti, esso prevede che a pagare la disoccupazione dei frontalieri non sarà più il paese di domicilio, come ora, bensì quello dove il frontaliere lavora(va). L’accordo raggiunto viene giudicato “fragile” dagli esperti; il Parlamento europeo e gli Stati membri lo devono ancora approvare; ma, per non saper né leggere né scrivere, noi crediamo che diventerà realtà.
Conseguenze pesanti
Per la Svizzera, le conseguenze di una simile regolamentazione sarebbero deleterie. Si stimano costi di svariate decine di milioni di franchetti annui a carico della Confederella: e scusate se sono pochi. Ma anche i Cantoni con molti - leggi: troppi - frontalieri pagherebbero un pesante scotto; a partire ovviamente dal nostro (sfigatissimo). Infatti:
1) I costi per il potenziamento degli Uffici regionali di collocamento (URC), necessario a far fronte all’iscrizione in massa di frontalieri, sarebbero a carico dei Cantoni. Attualmente solo pochi frontalieri si iscrivono agli URC. Con il nuovo regime, si iscriveranno tutti.
2) La partitocrazia cameriera dell’UE nel dicembre 2016 rottamò la preferenza indigena votata dal popolo (9 febbraio 2014) trasformandola in quella ciofeca denominata “preferenza indigena light”. Essa prevede di “avvantaggiare” (?), tramite obbligo di annuncio agli URC dei posti di lavoro vacanti, i disoccupati di alcuni rami professionali: quelli dove il tasso di disoccupazione a livello nazionale (!) - calcolato secondo i criteri farlocchi della SECO! - supera l’8%. Ma se tutti i frontalieri saranno iscritti agli URC, esattamente come gli svizzeri, spieghino i camerieri bernesi