In Nordamerica è cresciuto a tutti i livelli, tanto che al suo ritorno in Leventina è stato indicato da Luca Cereda e dal DS Paolo Duca quale portavoce della squadra nominandolo - ancora giovanissimo - capitano. Il suo impegno e la sua serietà professionale hanno colpito la dirigenza e lo staff tecnico, che non si sono fatti scrupoli ad assegnarli la C.
Di acqua sotto il ponte ne è passata parecchio da allora e Fora è ormai diventato a tutti gli effetti uno dei più importanti punti di riferimento dei leventinesi. Il Mattino della Domenica lo ha sentito
nei giorni scorsi.
Partiamo proprio da quella famosa “C” stampata sulla maglietta: essere capitano così giovane è un privilegio che pochi hanno saputo conquistare .
Quando mi hanno comunicato che ero stato nominato capitano ho provato dentro di me una incredibile emozione. Io sono cresciuto guardando e poi giocando in questo meraviglioso club. Appena tornato dalla AHL è stato come una scarica di adrenalina quando mi hanno dato la notizia. Ereditare la “fascia” da Paolo Duca, che è stato uno dei grandi protagonisti della storia di questa gloriosa società, è stato qualcosa di veramente speciale.
Si ricorda quel momento particolare?
Era la stagione 2017/2018, Paolo Duca e Luca Cereda, un giorno, mi hanno chiamato in disparte in uno spogliatoio e ad un certo punto della lunga discussione loro mi hanno chiesto se mi sentissi all’altezza di assumere questo incarico. Mi conoscevano sin da quando militavo nei novizi.
Solitamente prima di prendere simili decisioni si chiede un attimo di riflessione e ci si confida con persone molto vicine che possono sempre dare utili consigli. Lo ha fatto anche lei o ha subito risposto di sì?
Da subito ho risposto affermativamente. Non c’ho pensato tanto perché ho capito che se avevano scelto me è perché si fidavano. Certo, ho brevemente parlato anche con la mia famiglia, ma alla fine la decisione l’ho presa io.
L’HCAP significa tanto, specialmente per un giocatore cresciuto nelle giovanili come lei. Qualcuno ha detto che quando si entra sotto la cupola della Valascia si provano sensazioni davvero speciali.
È vero. Sin dalla prima volta che sono entrato sul ghiaccio con la maglia della prima squadra ho provato una emozione indescrivibile. Anche in seguito sono sempre stato affascinato dalla bellezza e appunto dalla storia che ha caratterizzato questo impianto. Giocare davanti ai nostri tifosi è qualcosa di semplicemente fantastico. Ora siamo costretti a farne a meno per il Covid-19, ma sicuramente i fans torneranno: sono il nostro grande sostegno principale.
Lei ha lasciato due volte l’Ambrì, nel 2014 e nel 2017 per provare l’assalto alla NHL ma senza riuscirci. È comunque stata una esperienza utile per maturare tecnicamente e psicologicamente.
Assolutamente. Innanzitutto, non essendoci a quei tempi i Ticino Rockets, l’Ambrì mi aveva girato al Bellinzona per farmi un po’ le ossa. Successivamente ho accettato di fare il campus dei Blazers, poi ho giocato nella AHL. Certo, da una parte mi è dispiaciuto non entrare nella lega professionistica nordamericana, tuttavia ho cercato di imparare e di accumulare esperienza che poi mi sarebbe servita in Svizzera. Mi ricordo che l’anno trascorso dapprima in Canada ci siamo allenati in un modo incredibile, il periodo di preparazione più duro della mia vita nel modo più assoluto. Anche la seconda esperienza non è andata come speravo, tuttavia, anche se ho giocato in AHL con i Charlotte, ho potuto acquisire nozioni importanti per perfezionare il mio stile di gioco.
Non
è un caso che, da quando è rientrato dal Nordamerica, lei ha mostrato un tasso tecnico nettamente superiore, diventando di fatto una pedina fondamentale.
Mi sono sentito maggiormenteresponsabilizzato, ho sempre cercato di fare passi avanti, di affinare certi miei sistemi di gioco. Per poter far parte di una squadra devi davvero lavorare sodo, mostrando sempre la giusta attitudine in ogni situazione.
Mi sono sentito maggiormenteresponsabilizzato, ho sempre cercato di fare passi avanti, di affinare certi miei sistemi di gioco. Per poter far parte di una squadra devi davvero lavorare sodo, mostrando sempre la giusta attitudine in ogni situazione.
Anche in fase offensiva, rispetto ad una volta, lei è molto più propositivo.
Questo grazie appunto a quello che ho imparato nelle mie esperienze oltre Oceano. Attualmente lavoro per aumentare le mie capacità realizzative, ma non devo dimenticarmi che io sono un difensore e come tale devo rispettare certe condizioni tattiche. È chiaro che, se capitano certe occasioni in avanti, devi essere sempre pronto a sfruttarle.
Da tempo l’Ambrì ha ripreso una politica di valorizzazione dei giovani, una scelta che sembra stia diventando pagante. E lei è già diventato una sorta di chioccia per i ragazzi che cominciano a provare l’ambiente della prima squadra.
È giusto che quello che ho imparato lo debbano apprendere anche loro, ci mancherebbe altro. So cosa significa crescere passo dopo passo. Anche se certe dinamiche di spogliatoio sono cambiate, non manco mai di parlare con i giovani, prendendoli a volte in disparte… Quando sei ancora un ragazzo, il primo aspetto da migliorare,tecnica a parte, è la mentalità. Penso di poter dire qualcosa in merito, avendo letto anche dei libri che parlano dell’aspetto psicologico nello sport.
Parliamo della Nazionale, esperienza pure gratificante, visto che nel 2018 siete arrivati quasi sul tetto del mondo.
Fare parte della rappresentativa del tuo paese è un onore ma anche un onere non indifferente. Qui aumenta la responsabilità perché devi mostrare il tuo valore a livelli altissimi. Ecco perché l’aver ottenuto il primo famoso argento ai Mondiali di Copenhagen è stata un’impresa che non dimenticherò mai. Vivi una esperienza completamente nuova, dove tutti gli occhi di specialisti e addetti ai lavori ti seguono passo passo. La nazionale diventa il punto più alto della carriera, un motivo di orgoglio, se entri a far parte di questo gruppo significa che hai svolto un grande lavoro con il tuo club.
Dopo l’argento di Copenhagen, qual è il prossimo obiettivo?
La Svizzera ha già dimostrato di poter stare al passo delle migliori, quindi credo che nel cuore di tutti, ci sia, almeno una volta, quello di tentare di vincere un Mondiale. Se tutto il gruppo tirerà in un’unica direzione, allora potremo agguantare questo trofeo. Coach Patrick Fischer mi ha dato fiducia ed io voglio ripagarlo...
Nel DNA della sua famiglia c’è sempre stato lo sport, sua sorella Nancy gioca a basket a Friborgo. Mai fatto dei duelli contro di lei sul parquet?
In realtà quando ho potuto, ho spesso giocato contro mia sorella. Eravamo più piccoli e all’inizio le sfide le vincevo sempre io, ora non riesco perché quando lei arriva al tiro fermarla diventa impresa difficile per non dire impossibile. Il basket è uno sport che può aiutare nella crescita, io poi ho praticato diverse discipline, per completare il mio bagaglio tecnico e anche fisico.
Il suo sogno nel cassetto?
C’è ma non lo dico, non per scaramanzia, ma perché questo traguardo deve maturare con il tempo, deve essere il frutto del mio lavoro e solo io so quando un giorno potrà concretizzarsi.
Ogni giocatore ha sempre un idolo, un modello da imitare, lei ne ha qualcuno?
Ne ho avuti tanti dai quali ho cercato di imparare, Streit, oppure Noreau, quando lo seguivo dalla tribuna della Valascia. Oppure Josi, altro giocatore di grande classe.
Tanti svizzeri appunto nella NHL, anche il nostro (piccolo) paese è diventato terra di conquista per gli “scout” nordamericani.
Ormai siamo cresciuti ed i risultati a livello internazionale ed il miglioramento tecnico-tattico del nostro campionato hanno contribuito a presentare la Svizzera sotto un’altra dimensione.
Infine: questo è un brutto periodo vedi Covid-19.
Davvero brutto, perché vedo molta gente soffrire. Ma dobbiamo adeguarci cercando di imparare a saper vivere con maggiore concretezza. Dobbiamo riflettere su tutto quello che sta accadendo per diventate persone migliori.
GIANNI MARCHETTI