Opinioni, 03 maggio 2021

L’ora più buia per la democrazia diretta in Ticino

Che sberla, ragazzi! Con una sentenza clamorosa emessa all’unanimità (!) dei 5 giudici componenti la corte giudicante, il Tribunale federale (TF) ha accolto integralmente il ricorso con il quale chiedevo di rifare la votazione popolare sull’iniziativa concernente i costi della legittima difesa! Questa verrà ricordata come l’ora più buia nella storia della democrazia diretta in Ticino, perché la decisione dei giudici ha messo a nudo il maldestro tentativo del Governo ticinese di influenzare indebitamente i votanti con informazioni “non oggettive e in parte tendenziose” che potrebbero avere indotto “una parte non trascurabile di cittadini” a respingere l’iniziativa credendola contraria al diritto federale.

La notizia non mi ha sorpreso più di tanto perché, assieme al mio avvocato (Sabrina Aldi), ero forse rimasto l’unico in Ticino a credere nel successo di questo ricorso, grazie al quale quei cittadini che ora si sentono “gabbati” da quelle istituzioni in cui avevano riposto la loro fiducia, avranno la possibilità di rivotare e, questa volta, di sostenere l’iniziativa. Sono soddisfatto perché questa sentenza garantirà che in futuro il Consiglio di Stato (CdS) si guarderà bene dal diffondere informazioni fuorvianti in occasione di una votazione. Ma sono anche arrabbiato, perché il rifacimento della votazione comporterà perdite di tempo e denaro che si sarebbero potute evitare se il Governo avesse accolto a suo tempo il mio tempestivo reclamo, e che forse si potrebbero ancora evitare se il Gran Consiglio (GC) decidesse di fare marcia indietro e approvasse perlomeno il controprogetto all’iniziativa che aveva bocciato nel 2019…

Un opuscolo informativo… con informazioni “non oggettive e in parte tendenziose”

Il 9 febbraio 2020 i ticinesi bocciarono di strettissima misura (con una differenza di 426 voti su 85’232 votanti) l’iniziativa popolare intitolata "Le vittime di aggressioni non devono pagare i costi di una legittima difesa", la quale chiedeva il rimborso integrale dei costi dell’avvocato di fiducia in caso di assoluzione per un reato commesso in stato di legittima difesa. Tenuto conto di queste cifre risicate, presentai un ricorso al TF (pubblicato su www.ilguastafeste.ch il 6.3.2020) per chiedere il rifacimento della votazione, con la motivazione che l’opuscolo informativo distribuito dal Cantone assieme al materiale di voto conteneva delle affermazioni false e fuorvianti che potevano aver falsato il risultato della votazione.

In particolare, nell’opuscolo si sosteneva in modo perentorio e senza alcun fondamento che l’iniziativa violava il diritto federale e creava delle disparità di trattamento, ragion per cui il Governo e il Parlamento ne raccomandavano la bocciatura. Ma allora come mai tre anni prima il GC aveva approvato (senza alcun voto contrario!) la ricevibilità dell’iniziativa, attestando così che essa non violava il diritto federale e non creava delle inammissibili e incostituzionali disparità di trattamento?

I passaggi essenziali della sentenza

I giudici hanno ammesso che le contestate affermazioni non erano state formulate “in maniera interrogativa, dubitativa o quale ipotesi” ma erano “categoriche, assolute e tassative”, e quindi “una parte non trascurabile di cittadini poteva essere indotta a credere che, ragionevolmente, un voto favorevole all’iniziativa non avrebbe avuto un gran senso” perché, anche se fosse stata approvata, la relativa legge di applicazione non avrebbe potuto essere applicata. E dunque, secondo i giudici, i cittadini “sono stati influenzati in maniera inammissibile su punti per nulla marginali ma decisivi della votazione”. “Contrariamente all’assunto governativo che cerca di sminuirne la portata – si legge nella sentenza – l’opuscolo informativo riveste una grande importanza nell’ambito della formazione della volontà dei cittadini (…). Certo, il CdS e il Parlamento potevano raccomandare di rifiutare l’iniziativa, ma non sulla base di un’informazione non oggettiva, e in parte tendenziosa (…) in quanto non compiutamente esaminata da queste due autorità (…).”

Sempre secondo i giudici i cittadini non potevano valutare se le affermazioni perentorie contenute nell’opuscolo fossero esagerate o inveritiere, visto che nel testo “è stato loro sottaciuto che si trattava semplicemente di dubbi e perplessità e non di fatti o elementi obiettivi”. Questa informazione non era quindi “né oggettiva, né completa, né accurata e pertanto lesiva (…) del diritto di voto dei cittadini garantito
dall’art. 34 cpv.2 della Costituzione”. I giudici hanno tenuto a precisare che “una volta accertata l’esistenza di irregolarità nell’ambito di una votazione, essa viene annullata soltanto qualora le stesse siano rilevanti e abbiano potuto influenzare l’esito dello scrutinio”, ed è proprio ciò che è successo in questo caso , perché – come si legge nella sentenza - “considerata l’esigua differenza di voti, è senz’altro possibile che le censurate, assodate irregolarità potrebbero avere influenzato in maniera rilevante e decisiva la sorte della votazione, mutandone l’esito”. Avete capito? Ho torto a ritenermi vittima di uno “scippo” politico?

Malafede o incompetenza?

Da notare che tre settimane prima della votazione avevo inoltrato un reclamo al Governo comunicando che per evitare ingenti costi rinunciavo a chiedere la ristampa dell’opuscolo, ma chiedevo perlomeno di correggere tramite un comunicato stampa le informazioni fuorvianti in esso contenute. Ebbene, nella sentenza si legge chiaro e tondo che se il CdS, in applicazione dei principi di proporzionalità e trasparenza, avesse accolto questa ragionevole proposta e avesse informato i cittadini sul fatto che” le pretese violazioni del diritto superiore non erano state formalmente accertate trattandosi di incertezze e ipotesi”, l’esito del ricorso “sarebbe stato diverso”. Il CdS aveva dunque avuto la possibilità di correggere le irregolarità in tempo utile e di evitare una nuova votazione, ma invece, perseverando nell’errore e assumendosi in tal modo la responsabilità politica dell’accaduto, respinse il mio reclamo! Se non si tratta di malafede si tratta allora di incompetenza: ma come è possibile, con tutti i consulenti giuridici al servizio dello Stato?

Le responsabilità del Gran Consiglio

Se la responsabilità principale di quanto accaduto è del CdS, non si possono sottacere le responsabilità del GC, cui compete “l’alta vigilanza” sull’operato del Governo. Il 17 gennaio 2020 avevo inviato un messaggio email ad alcune decine di deputati segnalando che le fuorvianti affermazioni contenute nell’opuscolo avrebbero potuto influire negativamente sulla votazione e chiedendo loro di invitare il CdS a correggerle con un comunicato-stampa. Ma, a parte Edo Pellegrini (UDF/UDC), nessuno raccolse l’appello. Anzi, durante i dibattiti televisivi, il deputato Giorgio Galusero (PLR), che in precedenza aveva votato a favore della ricevibilità dell’iniziativa (!), con una giravolta di 360 gradi si prestò a fare da megafono alle tendenziose e non oggettive tesi governative, contribuendo in tal modo a confondere le idee dei cittadini. “Se l’iniziativa venisse approvata - aveva tuonato con gran sicumera in TV - al primo ricorso cadrebbe tutto”. E invece a cadere al primo ricorso non è stata l’iniziativa, ma la votazione che ne ha decretato la bocciatura! Anche il deputato Nicola Corti (PS) dichiarò alla stampa che il mio ricorso si sarebbe rivelato un boomerang per il sottoscritto, perché avrebbe dato al TF l’occasione di dimostrare quanto generoso fosse stato il Parlamento a riconoscere la ricevibilità dell’iniziativa. Eccolo servito!

Le responsabilità della stampa

Anche la stampa è venuta meno al suo dovere di cane da guardia del potere. L’unico ad aver avuto il coraggio di criticare le affermazioni del CdS pubblicate nell’opuscolo, definendole “false, illegali e tendenziose”, fu il direttore de Il Paese, Eros Mellini, in un editoriale del 24.1.2020. A votazione avvenuta, un redattore de La Regione, osò chiedermi se con il mio preannunciato ricorso mirante a far chiarezza non rischiavo di passare per uno che non sa perdere... E allora lo informo che la percentuale di successo dei sei ricorsi che ho presentato al TF negli ultimi dieci anni (50%) è almeno sei volte superiore alla media nazionale! Ancora peggio aveva fatto l’allora direttore de La Regione, Matteo Caratti, il quale, in un editoriale intitolato “Non che diventi un vizietto”, aveva auspicato che in caso di ricorsi destituiti di fondamento i giudici addebitassero ai ricorrenti i costi arrecati alla giustizia, in modo da scoraggiare chi avesse “l’antipatico vizietto” di chiedere il rifacimento di un’elezione o di una votazione “appena il risultato è tirato”. Cosa proporrà ora il buon Caratti per premiare gli autori di ricorsi dimostratisi fondati e per addebitare ai responsabili i costi arrecati ai contribuenti per il rifacimento di una votazione?

Giorgio Ghiringhelli

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