Sport, 09 giugno 2022

Riccardo Riccò, la rinascita: dopo il doping, la gelateria!

La vicenda del corridore italiano, squalificato a vita per abuso di sostanze proibite

LUGANO - Tanti errori, tanto doping, tante bugie: alla fine, Riccardo Riccò viene estromesso manu militari (e cioè da una sentenza inappellabile) dal mondo del ciclismo, lo sport che aveva amato sin da bambino. Aveva abusato di sostanze dopanti, con la complicità di medici e compagni di squadra, per vincere e fare soldi. Come moltissimi altri presunti protagonisti, non avereva impararono nulla dai casi Festina e Lance Armstrong.


Quando Riccardo viene scoperto con le mani nella marmellata, il doping moderno è già esploso in modo fragoroso. Siamo gli inizi degli Anni Duemila. “Sono colpevole, lo riconosco. Avrei dovuto ascoltare la voce della mia coscienza e non farmi influenzare da altri. Non ho scuse e sono pronto a pagare”, disse ai microfoni della RAI subito dopo il suo ultimo processo (2012). Riccò altri non è che il prototipo del ciclista professionista di quei tempi: o perlomeno della maggioranza dei partecipanti alle grandi corse. Trasfusioni, Epo, Cera, medici e dirigenti compiacenti, il tutto per inseguire un sogno che altrimenti non sarebbe stato possibile realizzare. Qualcuno le definirà un falso d’autore.


Marco Pantani era ormai morto da oltre un decennio. E in Italia si cercava sempre un corridore che ne seguisse le orme e diventasse un campione. Uno da Giro o da Tour, un ciclista che regalasse emozioni e successi come il Pirata. In molti, giornalisti d’assalto in primis, vedono in Riccò un possibile successore. È forte in salita, sa domare le pendenze più dure ed è pure sfrontato. Ma quando arriva al professionismo si porta con sé una ondata di dubbi: è già stato fermato per ematocrito alto. Alla Saunier Duval credono molto nelle sue qualità. Potrà essere qualcuno, si chiedono i più scettici, coloro che non si fanno abbindolare dai titoloni o da commenti superficiali? La sua carriera sembra decollare, quando vince sulle Tre Cime di Lavaredo e al Giro diventa il più forte sulle montagne.


È un corridore che non si tira mai indietro e lotta generosamente su ogni terreno. In molti lo paragonano a Pantani, altri preferiscono glissare, anche perché ai controlli continua ad avere valori del sangue ballerini. Viene escluso dalla Nazionale dapprima e poi nel 2008 scoppia il patatrac. Dopo due vittorie, celebrate come trionfi dai soliti giornalisti della solita rosea (bravissima ad esaltare i suoi atleti quando vincono, altrettanto bravissima a massacrarli quando cadono), viene infatti fermato dagli organizzatori del Tour de France, in seguito ad una accusa della Gendarmerie: viene trovato positivo al
Cera (Epo di nuova generazione) e rispedito immeditamente a casa. Rinuncia anche la sua squadra, la Saunier Duval, diretta dal ticinese Mauro Gianetti. Alcuni giorni dopo gli arriva anche lettera di licenziamento. Inizia la parabola discendente di colui nel quale agli appassionati di ciclismo italiani avevano riposto tante speranze.


Riccardo viene poi squalificato per due anni ma, avendo collaborato con gli inquirenti, riceve uno sconto di pena: 20 mesi! Ora viene il difficile, perché rimettersi in gioco, in un mondo così perverso come quello dello sport professionistico, non è affatto scontato. Così nel 2010 ci riprova: torna a correre, stavolta per la Ceramica Flaminia. Non è una grande idea, anche perché il corridore sembra aver smarrito la forza e la verve precedente allo scandalo di cui sopra. Il 6 gennaio del 2011 viene ricoverato in gravi condizioni in ospedale in seguito ad un blocco renale. Il medico curante confessa che il corridore si era fatto una autotrasfusione di sangue (che avrebbe tenuto per giorni in frigo).


Riccò nega ma ciò non gli permette di evitare un nuovo licenziamento in tronco dalla squadra insieme al suo massaggiatore personale. Per lui è un momentaccio. Anche in famiglia le cose non vanno bene e viene lasciato dalla moglie. L’8 giugno dello stesso anno viene sospeso sul territorio italiano dalla Commissione tutela della salute della Federazione Ciclistica Italiana. Una botta dalla quale non si riprenderà più. Il 22 novembre viene condannato in appello a 2 mesi di carcere con la condizionale e al pagamento di un’ammenda di 3.000 euro.


Infine il 19 aprile 2012 il Tribunale nazionale Antidoping lo squalificò per ben 12 anni. Quindi arriva la squalifica a vita. Riccò è un ciclista finito. Ma per la persona esiste sempre una seconda possibilità. Nel 2018 apre una gelateria a Tenerife (Spagna). Conduce questa attività con la sua nuova compagna di vita Melissa. Riccardo è rinato, ora è un uomo sereno e felice. In una recente intervista ad un sito italiano ha dichiarato che “La scelta di andare alle Canarie era dovuta al fatto che non erano troppo lontane: riescivo a far venire mio figlio ed a tornare a casa facilmente.” Eppoi: “ Sono io che a Tenerife e a Vignola (nella nuova gelateria) produco il gelato, mia moglie invece lo vende al banco. Quando ho smesso di fare il corridore, il mio vicino di casa, che ha una gelateria da 30 anni, mi ha insegnato come si fa. Gli devo molto”.

JACK PRAN

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