Olimpiadi di Monaco, 5 settembre 1972: oggi sono trascorsi 50 anni dal folle gesto del commando palestinese del gruppo terroristico 'Settembre Nero'. Un’eternità. Eppure quella storia di viltà e terrore non ha insegnato nulla e non è servita da lezione a nessuno. L’odio fra palestinesi e israeliani continua senza tregua, gli attentati alla vita di cittadini comuni sono sempre d’attualità, soprattutto quelli di marca islamica, e la pace e la tolleranza fra i popoli è soltanto un sogno per pochi ingenui. Quella data resterà per sempre nella memoria: degli sportivi, dei politici, di chi l’ha vissuta sulla propria pelle e dei parenti delle vittime. E sarà ricordata come il giorno dell’infamia.
La cronaca spiccia: alle 5 del mattino un commando palestinese attacca il villaggio olimpico. Due atleti israeliani sono uccisi sul posto. Poi i terroristi provano ad intavolare delle trattative con le autorità: “liberate i nostri 250 cittadini rinchiusi nelle prigioni israeliane e noi rilasciamo i vostri 9 atleti”, affermano farneticanti. Ma le cose vanno storte e nella base aerea preposta per far decollare l’aereo dei palestinesi verso il Cairo avviene il massacro: l’assalto delle teste di cuoio tedesche fallisce miseramente e nello scontro perdono la vita i 9 ostaggi, un soldato e 5 terroristi. La pagina più nera dello sport insieme alla tragedia dell’Heysel del 1985 (finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles fra Juventus e Liverpool). Una tragedia che si poteva evitare? Forse, anche se a posteriori è sempre facile giudicare.
Lo sport da sempre è un importante cassa di risonanza per le cause di un Paese, di un popolo o di un gruppo etnico in rivolta o vittima delle disuguaglianze. Basti ricordare le proteste degli atleti afro-americani alle Olimpiadi del Messico del 1968 o alla rinuncia di alcune nazioni occidentali ai Giochi di Mosca del 1980 poco dopo l’invasione sovietica in Afghanistan. Tutto si limitava a gesti plateali o irriverenti. Ma nel 1972 le cose cambiarono e le Olimpiadi estive di Monaco diventarono il teatro ideale per un’azione violenta dei palestinesi, in perenne conflitto con lo stato di Israele. Fu così che il 5 settembre di 50 anni fa, lo sport venne colpito al cuore e il mito decoubertiano travolto. E su quella vicenda ancora oggi non sono stati svelati tutti i dettagli: di certo le forze di sicurezza fallirono su tutta la linea con errori marchiani che costarono la vita agli 11 ostaggi e ad un agente stesso. Ma anche la risposta dei massimi vertici dello sport (il CIO) lasciò perplessi e basiti. Dopo un giorno di lutto, le Olimpiadi sarebbero riprese!
Fu il presidente del Cio, lo statunitense Avery Brundage, a decidere che lo spettacolo avrebbe dovuto continuare. Molti lo criticarono, malgrado pochissimi atleti abbiano poi lasciato il villaggio dopo la strage. I Giochi vengono comunque sospesi per tutta la giornata del 5 settembre mentre il giorno dopo si tiene un evento commemorativo, durante il quale Brundage non fa mai riferimento alle 11 vittime del commando palestinese. Il suo discorso, che scade nel ridicolo e nel patetico, è tutto concentrato sui valori del movimento olimpico esaltati anche di fronte alla violenza. Lo stesso dirigente yankee qualche giorno prima si era opposto all’esclusione della Rhodesia (oggi Zimbabwe) dai Giochi a causa della sua politica di apartheid. Le critiche su di lui caddero impietose (e del tutto giustificate) e a quel punto fu costretto a dimettersi.
La cronaca spiccia: alle 5 del mattino un commando palestinese attacca il villaggio olimpico. Due atleti israeliani sono uccisi sul posto. Poi i terroristi provano ad intavolare delle trattative con le autorità: “liberate i nostri 250 cittadini rinchiusi nelle prigioni israeliane e noi rilasciamo i vostri 9 atleti”, affermano farneticanti. Ma le cose vanno storte e nella base aerea preposta per far decollare l’aereo dei palestinesi verso il Cairo avviene il massacro: l’assalto delle teste di cuoio tedesche fallisce miseramente e nello scontro perdono la vita i 9 ostaggi, un soldato e 5 terroristi. La pagina più nera dello sport insieme alla tragedia dell’Heysel del 1985 (finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles fra Juventus e Liverpool). Una tragedia che si poteva evitare? Forse, anche se a posteriori è sempre facile giudicare.
Lo sport da sempre è un importante cassa di risonanza per le cause di un Paese, di un popolo o di un gruppo etnico in rivolta o vittima delle disuguaglianze. Basti ricordare le proteste degli atleti afro-americani alle Olimpiadi del Messico del 1968 o alla rinuncia di alcune nazioni occidentali ai Giochi di Mosca del 1980 poco dopo l’invasione sovietica in Afghanistan. Tutto si limitava a gesti plateali o irriverenti. Ma nel 1972 le cose cambiarono e le Olimpiadi estive di Monaco diventarono il teatro ideale per un’azione violenta dei palestinesi, in perenne conflitto con lo stato di Israele. Fu così che il 5 settembre di 50 anni fa, lo sport venne colpito al cuore e il mito decoubertiano travolto. E su quella vicenda ancora oggi non sono stati svelati tutti i dettagli: di certo le forze di sicurezza fallirono su tutta la linea con errori marchiani che costarono la vita agli 11 ostaggi e ad un agente stesso. Ma anche la risposta dei massimi vertici dello sport (il CIO) lasciò perplessi e basiti. Dopo un giorno di lutto, le Olimpiadi sarebbero riprese!
Fu il presidente del Cio, lo statunitense Avery Brundage, a decidere che lo spettacolo avrebbe dovuto continuare. Molti lo criticarono, malgrado pochissimi atleti abbiano poi lasciato il villaggio dopo la strage. I Giochi vengono comunque sospesi per tutta la giornata del 5 settembre mentre il giorno dopo si tiene un evento commemorativo, durante il quale Brundage non fa mai riferimento alle 11 vittime del commando palestinese. Il suo discorso, che scade nel ridicolo e nel patetico, è tutto concentrato sui valori del movimento olimpico esaltati anche di fronte alla violenza. Lo stesso dirigente yankee qualche giorno prima si era opposto all’esclusione della Rhodesia (oggi Zimbabwe) dai Giochi a causa della sua politica di apartheid. Le critiche su di lui caddero impietose (e del tutto giustificate) e a quel punto fu costretto a dimettersi.
Occhio per occhio, dente per dente: la reazione di Tel Aviv non tardò a farsi attendere. Alcuni giorni dopo il massacro, l’aviazione israeliana attaccò alcune basi dei guerriglieri palestinesi in Libano e in Siria. Ma soprattutto lanciò l’operazione 'Ira di Dio', che non fu pianificata solo per punire coloro che organizzarono l’assalto al villaggio olimpico di Monaco ma anche per colpire quei cittadini palestinesi legati, in un modo o nell’altro, al mondo della rivolta anti-Israele. Ci furono anche vittime innocenti ma nessuno se nel guardò bene di accusare pubblicamente il Mossad, i servizio segreti israeliani, che attuò le ritorsioni contro i palestinesi. Steven Spielberg, regista americano di origine ebrea, ha raccontato questi controversi episodi nel film Münich. Lui che un giorno testimoniò al Corriere della Sera “di aver paura di andare a scuola ( al Liceo di Saratoga, California ndr) e incontrare quelle teste calde che ogni volta mi vedevano gridavano sporco ebreo”.
MDD