Tanto per cominciare, la mia ex squadra è da qualche anno che frequenta i quartieri alti del campionato.
Questa è la sua prima finale dei playoff, è vero: ma in un recente passato ci è andato vicino. Ricordo la semifinale del 2018 contro il Lugano. Dopo un inizio folgorante (2-0 nella serie), il Bienne non seppe gestire il momento favorevole e non vinse più una partita. Ma adesso le cose sono cambiate.
A 40 anni di distanza, insomma, ci sono concrete possibilità che possa vincere il campionato.
Le due squadre sono sullo stesso livello. Ma se debbo essere sincero, i bernesi mi sembrano più compatti e solidi. Mi sembrano più squadra. Direi che il Ginevra è molto stranieri-dipendente. Se si controlla bene quei giocatori, allora si è a metà dell’opera. Certo, Tommernes, Virtanen, Omark, Winnik, Fillpula e Hartikainen (un colosso che non sposti nemmeno con le cannonate) sono di un’altra categoria. Ma basta che uno non funziona come dovrebbe per far traballare l’impalcatura della squadra. Ginevra temibile, d’accordo, ma il Bienne ha le carte per riportare il titolo a casa dopo 40 anni.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti.
Cominciamo con il dire che l’hockey è un’altra cosa rispetto ai miei tempi. La fisicità, la velocità e pure la durezza sono triplicate. E per vincere non basta più la classe dei singoli. Il nostro Gosselin, che Gassmann strappò allo Chaux de Fonds, faceva il bello e il brutto tempo. Lui come tanti altri stranieri. Oggi tutto è cambiato: se non giochi di squadra, non vai lontano. Sembra un’ovvietà ma è cosi.
Cosa le piace del Bienne di Törmanen?
La concretezza, la velocità e l’organizzazione di gioco. Ma c’è voluto qualche anno per trovarle. Il tecnico finlandese è stato bravo ad amalgamare i giovani emergenti, con elementi di esperienza come Forster, Brunner o Cunti e stranieri di grande valore, quali Rajala o Olofsson.
Törmanen sta lottando anche su un altro fronte.
La sua battaglia contro la malattia ha compattatoancora di più il gruppo e il pubblico, che si sono stretti attorno a lui per dargli forza e coraggio. Questo fatto potrebbe essere un’arma importante nella corsa al titolo nazionale.
Questa è la sua prima finale dei playoff, è vero: ma in un recente passato ci è andato vicino. Ricordo la semifinale del 2018 contro il Lugano. Dopo un inizio folgorante (2-0 nella serie), il Bienne non seppe gestire il momento favorevole e non vinse più una partita. Ma adesso le cose sono cambiate.
A 40 anni di distanza, insomma, ci sono concrete possibilità che possa vincere il campionato.
Le due squadre sono sullo stesso livello. Ma se debbo essere sincero, i bernesi mi sembrano più compatti e solidi. Mi sembrano più squadra. Direi che il Ginevra è molto stranieri-dipendente. Se si controlla bene quei giocatori, allora si è a metà dell’opera. Certo, Tommernes, Virtanen, Omark, Winnik, Fillpula e Hartikainen (un colosso che non sposti nemmeno con le cannonate) sono di un’altra categoria. Ma basta che uno non funziona come dovrebbe per far traballare l’impalcatura della squadra. Ginevra temibile, d’accordo, ma il Bienne ha le carte per riportare il titolo a casa dopo 40 anni.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti.
Cominciamo con il dire che l’hockey è un’altra cosa rispetto ai miei tempi. La fisicità, la velocità e pure la durezza sono triplicate. E per vincere non basta più la classe dei singoli. Il nostro Gosselin, che Gassmann strappò allo Chaux de Fonds, faceva il bello e il brutto tempo. Lui come tanti altri stranieri. Oggi tutto è cambiato: se non giochi di squadra, non vai lontano. Sembra un’ovvietà ma è cosi.
Cosa le piace del Bienne di Törmanen?
La concretezza, la velocità e l’organizzazione di gioco. Ma c’è voluto qualche anno per trovarle. Il tecnico finlandese è stato bravo ad amalgamare i giovani emergenti, con elementi di esperienza come Forster, Brunner o Cunti e stranieri di grande valore, quali Rajala o Olofsson.
Törmanen sta lottando anche su un altro fronte.
La sua battaglia contro la malattia ha compattatoancora di più il gruppo e il pubblico, che si sono stretti attorno a lui per dargli forza e coraggio. Questo fatto potrebbe essere un’arma importante nella corsa al titolo nazionale.
Si aspettava un Bienne così competitivo?
Quando si lavora in prospettiva e senza troppa pressione addosso, alla fine raccogli i frutti. Ero sicuro che prima o poi il Bienne sarebbe arrivato in finale. Ora mi auguro che compia il prossimo passo verso la gloria. A proposito di pressione: lo Zurigo ha subito una clamorosa lezione dai seelandesi. Quando si gioca con l’obbligo di dover vincere a tutti i costi, si finisce male.
Che aria tira a Bienne?
Premesso che io ora abito a Berna, posso comunque dire, sentendo gli amici rimasti nel Seeland, che la città è in fibrillazione. Non vede l’ora di festeggiare! Ma non sarà semplice. Il Ginevra vuole vincere il suo primo titolo della storia!
Ultima domanda: perché nel 1983 lasciò il Bienne (neo-campione) per l’Ambrì Piotta (che militava in LNB)?
Ancora oggi se ne parla… A Bienne mi dissero che avrebbero continuato a vincere con o senza di me. Detto fatto, accettai l’offerta del direttore tecnico leventinese Luciano Bossi, al quale fui segnalato da Andy Jorns…
PS: dal 1984 in poi, senza Kölliker, il Bienne non ha più vinto nulla.
M.A.