Per il nostro hockey si trattò di una rivincita dopo una serie di rovesci che avevano fatto traballare anche la panchina di Sean Simpson. Quel risultato permise alla Svizzera di scrollarsi di dosso la fama di eterna incompiuta. Cinque anni dopo, stavolta in Danimarca, arriverà anche l’argento-bis con Patrick Fischer alla guida. Ma questa è un’altra storia. Oggi, a distanza di 10 anni dai mondiali di Stoccolma, raccontiamo le vicende di una squadra partita in sordina, senza molti estimatori, ma poi diventata grande protagonista. E lo facciamo con Julian Walker, attaccante del Lugano, che debuttò proprio in quella occasione in una rassegna iridata.
Julian: da quel Mondiale incredibile sono passati 10 anni. Eppure il ricordo resta vivo.
Per me quella non fu una stagione particolarmente felice a livello di club. Giocavo nel Ginevra di McSorley e fummo eliminati nei quarti di finale dei playoff. Una grande delusione. Ma allora come oggi, il tecnico della Nazionale chiamava a raccolta nei campus rossocrociati pre-mondiali anche i giocatori che facevano parte delle squadre eliminate dalla lotta per il titolo. Io venni convocato da Simpson anche se non nutrivo molte speranze di finire nella lista per il torneo iridato. Mi impegnai tantissimo durante gli allenamenti e le amichevoli e alla fine andai in Svezia.
La Svizzera era reduce da Mondiali tutt’altro che positivi.
E infatti in pochi credevano in noi prima della partenza per la Svezia. C’era un clima piuttosto pesante: tanti i dubbi e tanti gli interrogativi che la critica avevano sollevato. Simpson era nel mirino della stampa.
Anche perché il suo predecessore Ralph Krüger aveva lasciato dei buoni ricordi.
Simpson non si perse d’animo. Era un allenatore tenace e credeva nel proprio lavoro. Portò un sistema di gioco meno difensivo di Krüger, lasciando più libertà ai giocatori. Grande solidità, certo, con grande attenzione alla fase offensiva. Un mixer che alla fine si rivelò vincente.
E il vostro cammino si trasformò in una sorta di cavalcata trionfale, almeno sino alla finale.
Sei vittorie entro il sessantesimo minuto ed un successo ai penalty contro il Canada. Non era mai accaduto in passato! E nella partita inauguralebattemmo la Svezia, contro la quale avremmo poi incrociato le armi in finale. Iniziammo fra i dubbi ma col passare del tempo e delle partite, il gruppo crebbe in modo esponenziale: all’interno della squadra c’era un ambiente fantastico, in un cui prevaleva il motto uno per tutti, tutti per uno. Non c’era un giocatore protagonista ma tutta la squadra era protagonista.
Lei realizzò 8 punti (3 reti e 5 assist). Un bel bottino per un esordiente.
Me la cavai piuttosto bene. In particolar modoquando venni schierato nella linea dei duri, ossia con Trachsler e Bieber. Un trio bene assortito. Ma ripeto: fu la squadra e non il singolo a portarci
così lontano.
La Cechia nei quarti, gli Stati Uniti in semifinale: dopo una qualifica da urlo, anche nelle sfide ad eliminazione diretta la Svizzera si fece valere.
Giocavamo praticamente a memoria e Simpson ci guidava senza metterci addosso troppa pressione. Con lui c’era una simbiosi perfetta. Cechia e americani se ne accorsero: vincemmo dominando il gioco. Ormai non eravamo più una squadra qualsiasi ma la grande rivelazione del torneo. L’arrivo in finale non fu dunque casuale.
Contro gli USA lei segnò anche un gol importantissimo.
Mancavano una decina di minuti al termine ed eravamo in vantaggio per 1-0. Gli americani spingevano alla ricerca del pareggio ma io gli castigai con la rete che in pratica ci valse la finalissima. L’altro gol lo realizzai contro la Bielorussia nel torneo di qualificazione.
Poi il 19 maggio arrivò la gran finale di Stoccolma.
La pressione era tutta sugli scandinavi. Nel girone eliminatorio avevano chiuso al terzo posto, dietro a noi e al Canada ed non avevano di certo incantato. Nei quarti disputarono probabilmente la miglior partita del torneo battendo il Canada dopo una battaglia serrata. In semifinale vinsero il derby contro la Finlandia. Anche loro, adesso, cavalcavano l’onda.
Per 50 minuti la Svizzera lottò alla pari.
Ricordo che nelle prime fasi di gioco li schiacciammo nel loro terzo. Non riuscivano ad uscire. Infatti dopo cinque minuti andammo in vantaggio con Josi, assist di ...Walker. A quel punto la Svezia cominciò a reagire e grazie soprattutto al sostegno del suo pubblico riuscì a raddrizzare la situazione, chiudendo in vantaggio il primo tempo. Nel secondo ci fu sostanziale equilibrio ma nel terzo salirono in cattedra i gemelli Henrik e Daniel Sedin e per noi calò la notte. Va detto, comunque, che in finale non siamo riusciti, se non a tratti, ed esprimerci come nei precedenti match.
Grossa delusione, alla fine. Con Julien Vauclair che dichiarò, testualmente: “Questo è un argento prestigioso eppure non riesco ad essere felice”.
Sul momento, dopo la partita, eravamo tutti amareggiati. Comprensibile. Eravamo giunti ad un passo dalla gloria. Ma poi ci siamo resi conto tutti di quanto avevamo fatto e la delusione si trasformò in soddisfazione. Perchè in quel mese la Svizzera si era conquistata definitivamente un posto fra le grandi.
A Kloten poi il tripudio.
Quando arrivammo in Svizzera fummo sorpresi dall’entusiasmo popolare nei nostri confronti. I tifosi ci accolsero all’aeroporto di Zurigo-Kloten come se avessimo vinto il titolo. Per noi una gioia immensa.
MAURO ANTONINI
La Cechia nei quarti, gli Stati Uniti in semifinale: dopo una qualifica da urlo, anche nelle sfide ad eliminazione diretta la Svizzera si fece valere.
Giocavamo praticamente a memoria e Simpson ci guidava senza metterci addosso troppa pressione. Con lui c’era una simbiosi perfetta. Cechia e americani se ne accorsero: vincemmo dominando il gioco. Ormai non eravamo più una squadra qualsiasi ma la grande rivelazione del torneo. L’arrivo in finale non fu dunque casuale.
Contro gli USA lei segnò anche un gol importantissimo.
Mancavano una decina di minuti al termine ed eravamo in vantaggio per 1-0. Gli americani spingevano alla ricerca del pareggio ma io gli castigai con la rete che in pratica ci valse la finalissima. L’altro gol lo realizzai contro la Bielorussia nel torneo di qualificazione.
Poi il 19 maggio arrivò la gran finale di Stoccolma.
La pressione era tutta sugli scandinavi. Nel girone eliminatorio avevano chiuso al terzo posto, dietro a noi e al Canada ed non avevano di certo incantato. Nei quarti disputarono probabilmente la miglior partita del torneo battendo il Canada dopo una battaglia serrata. In semifinale vinsero il derby contro la Finlandia. Anche loro, adesso, cavalcavano l’onda.
Per 50 minuti la Svizzera lottò alla pari.
Ricordo che nelle prime fasi di gioco li schiacciammo nel loro terzo. Non riuscivano ad uscire. Infatti dopo cinque minuti andammo in vantaggio con Josi, assist di ...Walker. A quel punto la Svezia cominciò a reagire e grazie soprattutto al sostegno del suo pubblico riuscì a raddrizzare la situazione, chiudendo in vantaggio il primo tempo. Nel secondo ci fu sostanziale equilibrio ma nel terzo salirono in cattedra i gemelli Henrik e Daniel Sedin e per noi calò la notte. Va detto, comunque, che in finale non siamo riusciti, se non a tratti, ed esprimerci come nei precedenti match.
Grossa delusione, alla fine. Con Julien Vauclair che dichiarò, testualmente: “Questo è un argento prestigioso eppure non riesco ad essere felice”.
Sul momento, dopo la partita, eravamo tutti amareggiati. Comprensibile. Eravamo giunti ad un passo dalla gloria. Ma poi ci siamo resi conto tutti di quanto avevamo fatto e la delusione si trasformò in soddisfazione. Perchè in quel mese la Svizzera si era conquistata definitivamente un posto fra le grandi.
A Kloten poi il tripudio.
Quando arrivammo in Svizzera fummo sorpresi dall’entusiasmo popolare nei nostri confronti. I tifosi ci accolsero all’aeroporto di Zurigo-Kloten come se avessimo vinto il titolo. Per noi una gioia immensa.
MAURO ANTONINI