Sport, 26 ottobre 2023

“Bianconero dalla nascita, con qualche rammarico...”

Danilo Castelli, ex giocatore del Lugano, parla della sua carriera e del calcio di oggi

LUGANO - Danilo (classe 1961) ha (giocato FC Lugano. "Sin da quando - ci dice - insieme ad altri tre compagni di scuola e cioè John Campana, Remo Toscanelli e Carlo Malfanti, iniziai a frequentare Cornaredo, credo sul finire degli Anni Sessanta. Abitavo a Sonvico, dove risiedo tuttora, e mi recavo in bus a Lugano per gli allenamenti dei pulcini. Per me era un ’esperienza semplicemente fantastica, che aspettavo con ansia per tutta una settimana. Anche se a volte mi toccava tornare a casa a piedi perché non c ’erano più mezzi di trasporto".


Da allora il futuro difensore bianconero non ha mai lasciato i coloro bianconeri, se non per una parentesi nel Tresa a fine carriera. “Non potevo più gestire il mio lavoro di architetto e il calcio. Così decisi, seppure a malincuore, di firmare per la società malcantonese, nella quale allenava Vincenzo Brenna, mio idolo di gioventù e pure mio compaesano Cuore bianconero, insomma: “Sì, anche se non tutto è sempre filato via liscio” afferma l’arcigno ex centrale difensivo, che nei giorni scorsi abbiamo incontrato per parlare della sua carriera e non solo. 


Danilo Castelli bianconero DOC: calza bene questa definizione?
Diciamo di sì. Quando ero bambino mio padre mi portava sempre a Cornaredo a vedere le partite del Grande Lugano. Luttrop, Brenna, Gottardi, Prosperi, Simonetti… Una squadra che ha fatto epoca e della quale eravamo tutti molto apppassionati. Insomma: sono bianconero nell’anima anche se non ho sempre ho condiviso le scelte societarie.


Per esempio?
Quando lasciai il Lugano nel 1986 lo feci con molta amarezza. E le spiego il perché. Dopo aver fallito la promozione in LNA (malgrado avessimo 9 punti di vantaggio su Bellinzona e Locarno scialacquammo tutto) il club voleva puntare nuovamente alla massima serie e per questo motivo mise mano al portafoglio. Ogni giorno sui giornali uscivano i nomi di possibili rinforzi. Si parlava di Engel e di Sulser. Ai giocatori rimasti tutto ciò non piacque. Ci sentivamo poco valorizzati. A quei tempi non ero professionista, visto che lavoravo già come architetto e facevo molti sacrifici per potermi allenare con la prima squadra. Chiesi al club un ritocco seppur parziale del mio stipendio. Ma la cosa venne mal recepita dai dirigenti e così non ci accordammo. Me ne andai, deluso e amareggiato.


In generale, comunque, la sua fu un’esperienza positiva.
Certamente, ci mancherebbe! A Lugano sono diventato uomo e calciatore, ho conosciuto grandi giocatori e mi sono fatto parecchie amicizie, che coltivo ancora oggi. È mancata la ciliegina sulla torta, ovverossia una promozione o una vittoria di Coppa. Ma credo che il mio bilancio sia positivo.


A proposito di grandi calciatori (o campioni). 
Ne ricordo uno in particolare, Jerkovic. Forse il più forte con il quale abbia mai giocato in carriera. 


Parliamo ora del Castelli allenatore
Ho allenato tutte le squadre allievi del FC Lugano, dai ragazzini alla Under 18, vincendo pure dei titoli. Ho lavorato al fianco di Bruno Quadri, che ritengo un importante punto di riferimento per tutto il calcio giovanile ticinese e non solo. Mi ha insegnato molto. Anche a Bellinzona mi sono occupato dei giovani durante la gestione Calleri-Damiani. Personaggi incredibili. Negli attivi, infine, ho diretto il Tresa ma soprattutto il Mendrisio, con il quale ho ottenuto un brillante terzo posto in Prima Lega. Un risultato mai più ripetuto dalla società sottocenerina. 


E con il calcio di oggi come la mettiamo?
Seguo sempre il Lugano e naturalmente sono contento per i risultati che sta ottenendo, frutto di una oculata gestione societaria. Ma non sono affatto soddisfatto, per contro, del Team Ticino. Mi dica: quanti giocatori di livello sono usciti negli ultimi anni? A proposito: a parte Mattia Bottani in Ticino non vedo in giro altri talenti pronti a giocare nella massima serie. Aggiungo inoltre che non mi riconosco più nel calcio di oggi. Troppo business, poco gioco e poche regole rispettate. 


Meglio i suoi tempi, meglio Zico, insomma. 
Non so se i miei tempi erano migliori. Ma quando lei mi nomina il brasiliano, mi viene addosso la nostalgia. Era tutto diverso, come del resto il mondo, che purtroppo è cambiato. E se le dico in peggio, dico una blasfemia?

M.A.

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