Secondo quanto pubblicato di recente sul Corriere del Ticino sembra che il governo italiano, dopo la nuova “tassa sulla salute”, intenda chiamare alla cassa i vecchi frontalieri (quelli che non saranno toccati dal nuovo accordo fiscale) anche in altro modo. In che misura simili intenzioni – ammesso e non concesso che trovino il necessario appoggio politico - diventeranno realtà, e se del caso in che tempi (decenni?), rimane un mistero. Ma soprattutto: embè? Che i frontalieri siano dei privilegiati fiscali rispetto ai cittadini italiani che lavorano in patria, è un fatto notorio. Semmai è sorprendente che a Roma inizino ad accorgersene solo adesso.
Addirittura, nel medesimo articolo del CdT, si arriva a deplorare che il telelavoro dei frontalieri nell’accordo con l’Italia sia “limitato” al 25% - chiaramente sarà impossibile controllare il rispetto di tale limite – mentre quello con la Francia contempla il 50%. Paragonare il frontalierato francese a quello italiano non ha senso. Ma soprattutto: ai permessi G il telelavoro non andrebbe nemmeno consentito: solo quelli impiegati nel terziario ne possono usufruire. Ovvero quei frontalieri che in massima parte non ci dovrebbero neppure essere.
Articoli che dipingono il frontalierato attuale come una necessità per il Cantone sono da un lato inveritieri, dall’altro deleteri. Inveritieri perché i 30, facciamo pure 40 mila frontalieri di cui l’economia ticinese ha bisogno, c’erano anche prima della libera circolazione. Gli altri sono in esubero. Deleteri perché, se per caso a Berna qualcuno dovesse leggere sortite del genere, avrebbe buon gioco nell’interpretarle come la conferma della tesi che 80mila frontalieri in Ticino sono una pacchia e non provocano alcun problema.
Fatto sta che il numero di frontalieri attivi in Ticino continua ad aumentare. In barba ad eventuali misure italiane per mantenere la forza lavoro sul territorio della Penisola. Infatti siamo ormai a quota 80mila permessi G: il 67.5% di questi è attivo nel terziario. Ma proprio da tale settore provengono i due terzi dei disoccupati ticinesi.
Negli ultimi due decenni il numero dei frontalieri è infatti esploso nel settore terziario, andando a sostituire i residenti (altro che la favoletta dei lavori che i ticinesi non vorrebbero più fare). Pensiamo alle professioni d’ufficio. E’ notizia dei giorni scorsi che un quinto degli iscritti agli URC in Ticino proviene da questo ambito. Eppure si continuano a sfornare apprendisti di commercio: è chiaro che c’è un problema. I frontalieri abbondano anche negli studi legali, di ingegneria, di architettura… e questi non sono certo i lavori che i ticinesi non vogliono più fare.
80mila frontalieri in un Cantone con 240mila posti di lavoro è un quantitativo che non risponde ad alcuna logica né necessità economica. Questa situazione è la principale causa dell’emigrazione oltregottardo dei giovani ticinesi.
Lo spauracchio della perdita di “manodopera altamente qualificata” in Ticino a seguito di eventuali politiche fiscali italiane volte a scoraggiare il frontalierato è assurda. Quali sarebbero questi frontalieri altamente qualificati, questi profili che in Ticino non si trovano? Inoltre, la differenza salariale tra i due versanti del confine è così importante da ammortizzare qualsiasi provvedimento fiscale in arrivo da Roma. In particolare in considerazione della forza del franco. Nel 2008 con un franco si acquistavano 0.6 euro. Adesso se ne comprano 1.07. Di conseguenza, il frontaliere che nel 2008 guadagnava 3000 franchi al mese, dopo il cambio si trovava in tasca 1800 euro. Oggi lo stesso frontaliere, con il medesimo stipendio svizzero, di euro ne incassa 3210.
Se poi davvero, grazie a misure fiscali italiane, arriverà qualche frontaliere in meno nel terziario ticinese, tanto meglio. Idem nel caso in cui qualche frontaliere che lavora in ufficio rassegnasse le dimissioni ritenendo che poter svolgere il 25% dell’attività professionale in home office sia troppo poco.
Accadesse davvero, vorrebbe solo dire che certi datori di lavoro – settore parapubblico incluso, vero USI e SUPSI? - dovranno finalmente assumere ticinesi.
Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale
Municipale di Lugano
Lega dei Ticinesi