LUGANO – Giovedì 28 marzo. In quella data, sotto le volte di una BCF Arena piena fino all’inverosimile e con un settore ospiti mai domo, si è chiuso il campionato del Lugano. Un campionato che continuerà con le semifinali a cui i bianconeri faranno solo da spettatori.
Quei bianconeri che, nonostante tantissimi infortuni, tante montagne russe tra alti e bassi stagionali, fino a poche partite dal termine della regular season avevano in mano il loro destino. Il successo ai rigori contro il Kloten e le sconfitte contro il Friborgo e il Bienne – senza contare quella subita in casa contro il Davos al 59’ poche settimane prima – hanno poi distrutto quanto era stato costruito costringendo Thurkauf e compagni a passare per il derby nei playin per poi affrontare quel Friborgo che, sospinto da Sörensen, Wallmark, De La Rose e DiDomenico, era riuscito a chiudere in seconda posizione un’ottima regular season.
Dopo le prime due partite di playoff nessuno si sarebbe sognato che la serie sarebbe arrivata fino a gara-7: troppo forte erano apparsi i burgundi, troppo arrendevoli, deboli e indisciplinati i bianconeri, forse anche non sereni con Koskinen tra i pali. E invece… e invece col ritorno di Schlegel in porta e con l’inserimento di un altro straniero in attacco le cose sono cambiate. Tennyson è spesso riuscito a tenere a bada le bocche da fuoco dei Dragoni, rendendo la vita frizzante a quel DiDomenico pronto a scaldarsi e incendiarsi al minimo battibecco, e tutta la squadra si è compattata, portando la sfida al match decisivo, dove i dettagli – ancora una volta – sono risultati decisivi, premiando i burgundi.
Insomma, il sogno del titolo, solo sfiorato nel 2016 e nel 2018, resta ancora nel cassetto, ma il Lugano deve recitare il mea culpa. Non gettando al vento quanto di buono fatto fino a fine febbraio, senza scivolare dal 5° al 7° posto in pochi giorni, forse le cose sarebbero andate diversamente, così come la storia sarebbe potuta essere diversa se sul mercato si fosse intervenuti in maniera diversa, visto quanto non fatto da LaLeggia, Quenneville e Kempe – per citarne alcuni – quando sono stati chiamati in causa.
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