Quel giorno, il 19 aprile 1981 sulla regione delle Ardenne, teatro di terribili battaglie della Prima e della Seconda guerra mondiale, piove a dirotto e fa freddo; il vento gelido da Nord rende la Liegi-Bastogne-Liegi più difficile di quanto non lo sia già. Alla partenza ci sono 125 corridori, al traguardo ne arriveranno solo 24! In fondo, questa è una caratteristica della corsa che viene denominata Doyenne, la Decana delle classiche.
Siamo appena agli inizi degli Anni Ottanta: Bernard Hinault, che ha vinto qualche settimana prima sia la Parigi-Roubaix sia l'Amstel Gold Race, è il corridore del momento. Vince in salita, a cronometro e nelle corse di un giorno; sa fare di tutto e i francesi stravedono per lui. Ma sono soprattutto i belgi e gli olandesi che si esaltano quando il tempo si mette al brutto. Le strade sono inzuppate di acqua e in alcuni tratti i corridori devono fare gli equilibristi per evitare le cadute. In molti finiranno a terra. Hinault ha capito l'aria che tira e si chiama fuori: arriverà staccatissimo al traguardo. Quella, tuttavia, non è soltanto la giornata degli atleti di casa e dei vicini olandesi: no, ci sono anche i nostri ragazzi della Cilo-Aufina nelle posizioni migliori. Sin dalle prime battute Joseph Fuchs, definito da un giornalista belga “un corridore tenace, indomito e con l' aspetto di un sessantenne”, Stefan Mutter, Beat Breu e Gody Schmutz , danno spettacolo. La voglia di mandare in frantumi i piani tattici delle grandi squadre è palpabile negli sguardi che si possono intravvedere in TV. Il loro DS Auguste Girard, nel dopo corsa dirà: “Non avevano nulla da perdere, sapevamo che la Raleigh degli olandesi avrebbe cercato di dettare i ritmi e isolare gli avversari più forti”. Ad un certo punto, dalle parti di Spa (dove sorge il circuito forse più bello e difficile della formula 1) comincia a nevicare e il freddo miete le prime vittime. Poi, dopo aver raggiunto Bastogne, la corsa si infiamma. I nostri sono lì, fra i primi, tengono duro e spesso sono all'avanguardia. Ma la gara si accende quando i corridori devono salire la temibile Redoute, una delle tante côtes disseminate sul percorso. “La parte centrale è quella incredibilmente più difficile con una pendenza del 18%.
La parte superiore è meno dura, anche se si fa sentire nelle gambe” dichiarò il belga Philippe Gilbert dopo la sua vittoria del 2011. Situata nella regione delle Vallées de la Vesdre, de l'Amblève et de l'Ourthe, la Redoute è lunga quasi due chilometri ma quando il tempo è brutto sembra ne misuri una ventina. Il 19 aprile 1981 su quello strappo micidiale restano in quattro: due svizzeri (Fuchs e Mutter), un belga (Peeters) ed un olandese (van der Velde). Due della Cilo Aufina e due della Ti-Raleigh. Sepp Fuchs è uno scalatore puro, è alla sua ultima stagione da professionista. È stato luogotenente sia di Francesco Moser sia di Giuseppe Saronni ed è arrivato ottavo in un Tour de France e una volta quinto al Giro. La gara è apertissima: in discesa prima cade Van der Velde e poi Mutter, che aveva provato un allungo. Ad ogni curva si teme il peggio: la strada è scivolosa e la pioggia non accenna a diminuire. Il finale è leggendario: Fuchs attacca e sembra involarsi verso la gloria.
Ma a 5 chilometri dal traguardo, il sagace van der Velde lo raggiunge. Gli altri hanno perso le loro ruote e sono lontani. In volata, purtroppo, il corridore olandese è nettamente più veloce e il nostro Fuchs è battuto. Tuttavia, la storia di quella Liegi-Bastogne- Liegi non è ancora del tutto scritta: durante il Giro di Romandia, che va in scena un paio di settimane dopo, si scopre che Johan van der Velde è risultato positivo al controllo anti-doping dopo la Liegi-Bastogne- Liegi. Durante la convalescenza da una febbre virale, gli era stato somministrato un potenziatore muscolare vietato all'inizio della stagione. A nulla servirà il suo ricorso. Fuchs vince così la sua unica classica di carriera. “Quando mi dissero che Johan era stato squalificato sentii soddisfazione e delusione – affermò al settimanale Sport di Zurigo lo svizzero – Vincere fa sempre piacere, certo, ma così non è esattamente la stessa cosa”. Aveva ragione, il buon Sepp.