Il Consiglio federale ha deciso questa settimana di sospendere sino al prossimo autunno le decisioni riguardo al pacchetto di accordi che la Svizzera sta negoziando con l’Unione europea. Le posizioni “non sono ancora sufficientemente convergenti” su alcuni temi, in particolare nell’ambito dell’immigrazione e della protezione dei salari.
Insomma: i due temi più caldi.
“Per fortuna ci sono ancora delle resistenze di carattere “tecnico”, afferma il Consigliere di Stato, Norman Gobbi. Perché politicamente il Consiglio federale sarebbe anche pronto a sposare tout court la linea dell’UE. Linea che presuppone un’apertura totale ai lavoratori dell’Unione europea, senza più misure di protezione per i salariati residenti in Svizzera. Non è un mistero che la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sotto il Dipartimento diretto dal Consigliere federale UDC Guy Parmelin, vorrebbe ridurre del tutto le misure di accompagnamento (già oggi troppo poche e inefficaci a mio giudizio). Ciò significa un forte rischio di aumento di spesa per prestazioni sociali, ma in particolare una ulteriore dannosa concorrenza per i lavoratori che risiedono nei Cantoni di frontiera, Ticino in primis”.
Una situazione che anche il Consiglio di Stato non approva. “ Sì, esatto! Nella nostra presa di posizione sui negoziati con l’UE abbiamo riaffermato che si devono prevedere misure a protezione dei nostri lavoratori. Se invece dovesse avverarsi quanto sembra avere già in mente la Berna federale, soprattutto in Ticino verremmo fortemente penalizzati. Oggi, quando un lavoratore straniero disoccupato finisce il periodo in cui può beneficiare della disoccupazione deve lasciare la Svizzera, perché l’autorità ha la facoltà di non più rinnovargli il permesso o di revocarlo. Invece la SECO vorrebbe togliere questa protezione del nostro mercato del lavoro e soprattutto del nostro sistema sociale. Con i nuovi parametri proposti, se la persona straniera dimostra di aver tentato «con impegno» di cercare un posto di lavoro, non si potrà più revocare o non rinnovare un permesso e quindi il lavoratore straniero continuerà a rimanere a carico del nostro sistema sociale. L’UE vuole che siano applicate le stesse condizioni valide per le cittadine e i cittadini svizzeri ai lavoratori stranieri. È un’evidente forzatura e un’ulteriore genuflessione verso l’UE. Non possiamo accogliere tutti i diktat di Bruxelles. E la protezione dei nostri salariati deve avere un peso importante. C’è poi un altro aspetto che peserà ancora di più sulle finanze dei Cantoni: come si fa a dimostrare che il disoccupato straniero ha cercato «con impegno» un lavoro? Chi lo dovrà fare? Si intuisce subito che l’apparato burocratico dovrà essere potenziato, con ulteriori costi. Un passo che proprio non possiamo permetterci di fare”, conclude il Direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi.
*Dal MDD
Insomma: i due temi più caldi.
“Per fortuna ci sono ancora delle resistenze di carattere “tecnico”, afferma il Consigliere di Stato, Norman Gobbi. Perché politicamente il Consiglio federale sarebbe anche pronto a sposare tout court la linea dell’UE. Linea che presuppone un’apertura totale ai lavoratori dell’Unione europea, senza più misure di protezione per i salariati residenti in Svizzera. Non è un mistero che la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sotto il Dipartimento diretto dal Consigliere federale UDC Guy Parmelin, vorrebbe ridurre del tutto le misure di accompagnamento (già oggi troppo poche e inefficaci a mio giudizio). Ciò significa un forte rischio di aumento di spesa per prestazioni sociali, ma in particolare una ulteriore dannosa concorrenza per i lavoratori che risiedono nei Cantoni di frontiera, Ticino in primis”.
Una situazione che anche il Consiglio di Stato non approva. “ Sì, esatto! Nella nostra presa di posizione sui negoziati con l’UE abbiamo riaffermato che si devono prevedere misure a protezione dei nostri lavoratori. Se invece dovesse avverarsi quanto sembra avere già in mente la Berna federale, soprattutto in Ticino verremmo fortemente penalizzati. Oggi, quando un lavoratore straniero disoccupato finisce il periodo in cui può beneficiare della disoccupazione deve lasciare la Svizzera, perché l’autorità ha la facoltà di non più rinnovargli il permesso o di revocarlo. Invece la SECO vorrebbe togliere questa protezione del nostro mercato del lavoro e soprattutto del nostro sistema sociale. Con i nuovi parametri proposti, se la persona straniera dimostra di aver tentato «con impegno» di cercare un posto di lavoro, non si potrà più revocare o non rinnovare un permesso e quindi il lavoratore straniero continuerà a rimanere a carico del nostro sistema sociale. L’UE vuole che siano applicate le stesse condizioni valide per le cittadine e i cittadini svizzeri ai lavoratori stranieri. È un’evidente forzatura e un’ulteriore genuflessione verso l’UE. Non possiamo accogliere tutti i diktat di Bruxelles. E la protezione dei nostri salariati deve avere un peso importante. C’è poi un altro aspetto che peserà ancora di più sulle finanze dei Cantoni: come si fa a dimostrare che il disoccupato straniero ha cercato «con impegno» un lavoro? Chi lo dovrà fare? Si intuisce subito che l’apparato burocratico dovrà essere potenziato, con ulteriori costi. Un passo che proprio non possiamo permetterci di fare”, conclude il Direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi.
*Dal MDD