Sport, 11 luglio 2024

È un calcio di retroguardia: servono idee e tanto coraggio

Analisi della disfatta azzurra: il presidente FIGC Gravina e il CT Spalletti sulla graticola

LUGANO - L’Italia viene umiliata dalla Svizzera, viene dominata tecnicamente e tatticamente. La sconfitta rappresenta una realtà: evidente la crisi profonda del calcio italiano. Il presidente delle Federcalcio è furbo e astuto. E ha indetto immediatamente una conferenza stampa. Dietro le solite e inconcludenti parole di circostanze, dietro una finta maschera di dolore e contrizione, aveva un obiettivo: difendere la sua posizione; difendere la sua poltrona; difendere il suo privilegio; difendere il suo lauto stipendio. Sembrava distrutto, ma è stato subito deciso e perentorio, lui la parola dimissioni non la vuole nemmeno sentire nominare. Il mondo del calcio e anche quello della politica non possono pretendere che lui lasci. Deve ancora lavorare e “il progetto va avanti”, il fondo è toccato, ma una volta arrivati giù si può continuare a scavare. Il nostro è tetragono, sa come si sta al mondo. Ha annunciato una grande novità, gli italiani del pallone possono stare tranquilli, ci sarà un comitato esterno che aiuterà la Nazionale, sarà composto da: Marotta; Giuntoli; Sartori; Marino. L’apoteosi di una commedia diventata una farsa gigantesca. Gabriele Gravina guadagna duecentomila euro l'anno, spicciolo più spicciolo meno.
È anche vicepresidente dell’UEFA, una carica che non ricopre gratis: riceve quasi centocinquantamila euro l’anno. Mica male per un signore che dovrebbe essere già in pensione. 



Il nostro si muove come un politico consumato, muove fili, tesse alleanze, ha fatto carriera e quando è arrivato rimane saldo. In Italia il potere rende, garantisce posizioni in cui si può rimanere fino a quando si vuole, senza essere messi in discussione. Si creano relazioni e ci si difende tutti assieme appassionatamente. Il sistema funziona così. Nessuna presa di responsabilità, l’opinione pubblica non conta. Le critiche della stampa e delle televisioni non contano, rimangono fini a sé stesse. Passata la tempesta, arriva sempre la quiete. E tutto scorre nel solco della normalità. Il Belpaese è così, assiste, si appassiona, si indigna per cinque minuti e poi giustifica.


La gestione di Spalletti è fallimentare, ma poco importa, secondo lui, non è successo quasi niente. Pensa di andare avanti, adesso ci sono le qualificazioni per il prossimo Mondiale del 2026 (Messico-Canada- USA). Eppure l’Europeo per l'Italia è stato un disastro tecnico, tattico e caratteriale: vittoria striminzita contro l’Albania; sconfitta netta contro la Spagna; pareggio melodrammatico contro la Croazia; eliminazione senza attenuanti contro la Svizzera. Ma per il toscano va tutto bene. È stata un’Italia in preda alla confusione, senza nessuna certezza, sempre disordinata. È arrivato sulla panchina azzurra e ha avuto vita subito vita facile. È stato messo sull'altare, perché Mancini è stato gettato nella polvere. Ha preso il sopravvento, nel vuoto di idee e programmazione, è diventato il “classico salvatore della Patria”, agli italiani piacciono queste figure, ci deve sempre pensare qualcun altro. È esploso il suo ego, ha fatto fare l’allenatore, doveva essere un selezionatore. Si è sentito importante e unico, ha fatto e disfatto formazioni. Ma una Nazionale si allena in maniera diversa da un club. Eppure Ancelotti lo ha spiegato: il migliore allenatore è quello che fa poco, quindi non fa molti danni. C'è modo e modo per uscire da una manifestazione internazionale, l'Italia ha scelto la maniera peggiore e non ha attenuanti. Gli azzurri non erano attrezzati per vincere il torneo, ma l'esito della spedizione tedesca non ha giustificazioni.


Fabio Capello è sempre molto pacato nei giudizi,eppure ha usato parole dure per commentare lasconfitta contro la Svizzera, ha adoperato il termine di “ vergogna”, facendo intendere che il CT Spalletti ha fatto danni, per pura presunzione, per l’incapacità manifestata nell’interpretazione del suo ruolo. E ha concluso che in questa maniera non si va da nessuna parte. Spalletti è un sopravvalutato, era convinto che l’Italia fosse forte e lo ha fatto credere a tutti. Ci ha pensato il campo ad emettere una severa sentenza. Il risultato non poteva essere che questo. Alla mancanza di talento da parte dei giocatori, si è aggiunta la spocchia e la prosopopea del Mister. Poco male, lui rimane in panchina, ora ringiovanirà la rosa. Cari italiani è meglio che ridiate, piangere non serve a niente.


La Nazionale italiana rappresenta la realtà calcistica dell’intero movimento. L’immagine che viene riflessa è impietosa, e non ammette soverchie speranze per il futuro immediato. La domanda di come ripartire è obbligatoria, ma mancano le risposte adeguate. Servirebbero idee, programmazione, progetti e riforme. L’impresa è troppo grande, dovrebbero essere coinvolti FIGC (federazione italiana giuoco calcio), Lega e club. Ma l’Italia non sa pensare come se fosse un sistema, ognuno di questi attori pensa al proprio particolare, al proprio tornaconto. Eppure il dato è evidente: la Serie A è diventata un campionato di retroguardia. Si gioca male: i ritmi sono bassi, si vive di tatticismo esasperato, non si sperimenta, non c’è nessun coraggio. La fa da padrone il risultato, poco importa come è stato ottenuto. Le recenti finali europee hanno illuso, fatto pensare che si era alle prese con una rinascita. Il campo racconta che le formazioni sono infarcite di stranieri, molti sono di basso e discutibile livello, arrivano al 67%. I giocatori italiani schierati sono il 33%. Il giovane da lanciare non è contemplato. Si prendano due società considerate virtuose: l’Atalanta dei miracoli mette in campo al massimo quattro italiani; l’Udinese è completamente straniera. Il paese manca di strutture, non ci sono investimenti, il lungo periodo non è considerato, interessa il presente. Il calcio artigianale piaccia o ci piaccia non c’è più, gli altri sono andati avanti, l’Italia si è fermata a ricordare il suo passato a coltivare il suo orticello.


Basterebbe copiare quello che fanno altrove e puntare sui vivai. Se c’era da preservare un elemento, questo era lo stile tattico (difesa arcigna, contropiede, cinismo) italiano, che ha portato tanti successi. Ma tutto questo è stato gettato nel Mare Mediterranero, si è voluto copiare, e in assenza di grandi giocatori viene fuori una brutta copia. Non cambierà niente, tra qualche mese comincerà il Campionato e tutto sarà dimenticato. Lo spettacolo che andrà in onda è prevedibile. La sensazione è quella che un’epoca è finita. E i fasti del calcio italiano non ritorneranno più.


JACK PURO

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