Sport, 09 dicembre 2024

Poteva essere un campione ma diventò un malvivente

Il dramma di Dario Coronel, calciatore che uccise un poliziotto e finì suicida

LUGANO - Questa è una brutta storia, simile a tante altre che il calcio sudamericano tramanda; parla di infanzie tradite, di fame e di stenti, di genitori alcolizzati o casi sociali, nella peggiore delle ipotesi ladri e assassini. Qualche ragazzo riesce a farcela e diventare un uomo e poi un calciatore famoso; altri finiscono nel vortice della droga o delle bevande alcoliche, con l’inevitabile tragico finale. Sul selciato di una strada o con una pistola puntata contro sé stessi, come spesso succedeva nei barrios di Buenos Aires, teatri da sempre di efferata violenza, sin dai tempi del dittatore Juan Domingo Peron, quando gli squadroni della morte entravano nei quartieri più poveri e uccidevano senza pietà banditi e gente innocente, capitata lì per caso. Gli stessi quartieri, abbandonati da governì più o meno legali, sono poi diventati terra di nessuno, un po’ come capita nelle favelas di Rio de Janeiro, nei quali la vita non vale nulla e la forze dell’ordine se ne stanno alla larga. La povertà e la miseria, inutile negarlo, generano ignoranza, morte e distruzione come, appunto, nel caso di Dario Coronel, calciatore talentuoso e fra i più promettenti degli Anni Ottanta. Un elemento che, stando agli osservatori di quel periodo, era destinato al calcio europeo e alla Nazionale argentina. Nacque nel barrio Fuerte Apache, uno dei più pericolosi delle capitale e fu proprio lì che nel 1992 venne scoperto da Tano Propato mentre stava giocando con un certo Carlos Tevez. 


Amicizia e rivalità
I due abitano nella stessa casa e sono grandi amici ma spesso litigano e fanno a botte per questioni calcistiche (sono rivali acerrimi!); poi prevale il sentimento di fratellanza e finiscono con l’abbracciarsi. Propato li porta entrambi all’All Boys, uno degli innumerevoli club della capitale portenha. Il tecnico li va a prendere tutti giorni con il suo furgone e se li porta all’allenamento. Non si fida di nessuno, meglio consumare qualche litro di benzina in più che lasciarli soli. Non si sa mai. Carlitos indossa la maglia numero 9, Coronel con il 10. Una coppia perfetta: sui giornali si parla di due giovani giocatori “devastanti, inarrestabili, indistruttibili”.


E dopo qualche tempo, ecco arrivare la grande opportunità: i due vengono convocati per un provino dal Velez Sarsfield, una delle società più prestigiose d’Argentina. Coronel fa impazzire tutti e viene messo sotto contratto, Tevez invece non convince e viene rimandato all’All Boys per maturare. Per Dario è un sogno: ora la sua vita va alla grande. Diventa un giocatore professionista elogiato e osannato, al Velez Sarsfield sono soddisfatti di lui. Ma il destino è in agguato e quando tutto sembra procedere per il meglio sua madre decide di tornare in Paraguay con i fratelli maggiori, lasciando Darío a Buenos Aires con il patrigno, un uomo violento e senza scrupoli e con il quale presto entra in conflitto. Improvvisamente tutto cambia e il giovane talento comincia a saltare gli allenamenti. E quando si presenta puzza di alcol e di marijuana, la droga emergente di quei tempi. Un vizio che lo aveva segnato già da ragazzino. La sua vita ora è cambiata: al posto delle veroniche agli avversari sul campo, ecco che armi, droghe, furti sono all’ordine del giorno e inevitabilmente i dirigenti del club rompono il contratto. 


Nel frattempo Tano Propato, che allora allenava il Comunicaciones, viene a conoscenza della deriva fisicomorale del giocatore che aveva scoperto: Dario gli chiede aiuto, vuol tornare sotto la sua guida. Ma Propato lo incalza“Hai la possibilità di andare al Boca Junior o al River Plate, puoi sceglierti la squadra che vuoi. E allora perché vuoi venire a giocare con noi?” gli disse il suo mentore. La risposta fu disarmante: “Voglio giocare qui perché ci sei tu, sei l’unico che mi può controllare un po’. Sono nei guai”. El Tano Propato si impietosisce e decide di aiutarlo. Ma per tutta risposta il giorno dopo Coronel non si presenta all’allenamento.


Nel mirino della polizia
Qualche mese dopo, Carlos Perez, ex compagno di squadra di Darío Coronel e Carlitos Tevez, disse:“Dario era molto più bravo di Tevez. Sono sicuro che se si fosse dato una regolata sarebbe arrivato nella prima divisione argentina. Aveva un talento spaventoso”.


Intanto gli anni passano e Tevez, ingaggiato dal Boca Juniors, viene convocato in Nazionale e la sera del suo debutto (nel 2001) Coronel si reca da Didì, l’allenatore del Santa Clara, la squadra di Fuerte Apache per cui aveva giocato da ragazzino con Carlitos e gli dice: “Com’è possibile? Spiegami. Non capisco come lui sia arrivato e io invece sono ricercato dalla polizia. Mi vogliono uccidere!” Dario Coronel è ormai nel mirino delle forze dell’ ordine: ha assassinato un agente di sicurezza durante una rapina. Qualcosa è andato storto ma ormai è troppo tardi. I poliziotti lo vogliono catturare ed uccidere: a Buenos Aires chi ammazza un agente non finisce sotto processo ma direttamente sotto terra. Quasi inevitabilmente, nel mese di settembre del 2001 Coronel viene scoperto nel suo nascondiglio a Fuerte Apache: prova a scappare ma gli effetti della droga lo hanno reso debole. Non riesce ad inscenare uno dei suoi soliti scatti prodotti sui campi di calcio e gli agenti lo bloccano. Non gli resta che puntare la pistola alla tempia e premere il grilletto. Essere ucciso da un poliziotto era un disonore, meglio anticiparli. E pensare che pochi giorni prima Coronel e Tévez si erano incontrati. Carlitos doveva partire per Trinidad e Tobago per una partita con l’Argentina e gli promise di regalargli la maglia della nazionale. “Mentre gli promettevo la maglietta, sentivo che quello era il nostro addio. Quando penso a lui, lo ricordo come il mio migliore amico”.


JACK PRAN

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