Ipse dixit, lo faceva per difendere e tutelare la sua squadra da attacchi veri o presunti, perché se il nemico non c’era Mourinho lo inventava per dare linfa vitale al suo spogliatoio di esagitati, giocatori caricati a pallettoni che andavano in campo con gli occhi iniettati di sangue e spesso a fare le spese di simili eccessi erano i poveri arbitri di turno, letteralmente accerchiati dal branco nerazzurro quando c’erano decisioni contrastanti. Accentrando su di sé l’attenzione, Mou lasciava che la squadra si concentrasse su ciò che le riusciva obbiettivamente meglio: giocare, magari senza incantare in ogni occasione, e vincere. Dicevamo poc’anzi che il gioco di quell’Inter non raggiungeva sempre cifre stilistiche elevate e, in tal senso, un esempio fulgido fu proprio il match di ritorno al Camp Nou (con l’attenuante, se vogliamo, dell’espulsione di Thiago Motta al 28’). In quella semifinale Champions ci fu però un guizzo mourinhiano, che ancora oggi si ricorda: l’intuizione tramandata ai posteri fu quella di convincere un attaccante di razza come Eto’o a giostrare nell’occasione da terzino.
Gli annali ormai impolverati ci raccontano che quella serata finì in gloria, col tecnico portoghese ebbro di gioia a correre per il campo dribblando quegli idranti invero sintomo di scarso fair play nella circostanza, che i padroni di casa innescarono per disturbare i festeggiamenti ospiti dovuti all’indolore sconfitta (1-0 a fronte del 3-1 interista a San Siro). A rimanere soprattutto a bocca asciutta fu Zlatan Ibrahimovic, dal momento che Ibra aveva lasciato Milano proprio per alzare la Champions, quella che per Mou era un “sogno, ma non un ossessione”. Punta di diamante atipica nel regno del tiki taka, il pennellone svedeseera come un sviolino stonato, nonostante la valanga di gol segnati in campionato. Molto più funzionale, in questo senso, l’attuale centravanti blaugrana, al secolo Lewandoski. Che sarà però assente per infortunio almeno nella gara d’andata in Spagna. Se dovesse recuperare per i secondi 90 minuti della semifinale cosa si inventerà il demone di Piacenza, ovvero Simone Inzaghi, per fermare il panzer polacco? Per lui sarà più ardua rispetto al suo predecessore lusitano, in quanto il piacentino non brilla per fantasia sotto quest’aspetto. Per dire, i suoi cambi a gara in corso servono quasi esclusivamente per tutelare i giocatori già ammoniti: non c’è mai una vera e propria invenzione tecnico-tattica che sparigli le carte in tavola.
Eppure anche la sua Inter è in corsa per un ambito e magico Triplete, quindi non gli si possono muovere chissà quali appunti. Anzi, la sua Inter gioca probabilmente meglio di quella del 2010, tolte le due partite dei quarti di finale contro il Bayern Monaco, nelle quali i nerazzurri hanno dovuto, per necessità, suonare lo spartito del catenaccio. Comunque se l’Inter mourinhiana era tutta nervi e spirito di gruppo, quella attuale coniuga sprazzi di bel gioco e il peso delle proprie individualità, che come accaduto nel retour match coi bavaresi, vestono i panni dei supereroi, manco fossero un fumetto della Marvel. Ci sono comunque punti di contatto e altrettante differenze tra le due squadre, ma questo aspetto lotratteremo nello spazio apposito. Qui occorre ancora sottolineare come il Triplete passi, oggi come allora, dall’avversario forse peggiore, ossia quel Barcellona che sa sopravvivere alle stagioni anonime che giocoforza gli capita di vivere e ripresentarsi ciclicamente nelle notti di Champions con lo smalto dei giorni migliori e l’etichetta di squadra spettacolare. Siamo pronti a giurare che sarà così anche questa volta, i crismi del grande avvenimento, infatti, ci sono tutti.
Non è più tempo di tiki taka, né di Pep Guardiola, ma Flick e la sua banda non sono certo da meno. D’altronde un Triplete val pure lo scalpo dei blaugrana… Senza dimenticare che per calare nuovamente il tris bisognerà pure rincorrere il Napoli di Conte (brutto, sporco e cattivo e con un McTominay formato trascinatore) e spezzare le reni nel Mondiale per club ad esempio a un cliente scomodo come il River Plate (e parliamo solo del girone). Alcune considerazioni finali, ora: ai tempi di Mou, campionato e Coppa Italia furono un duello contro il medesimo avversario, quella Roma che Ranieri ereditò da Spalletti ultima in classifica dopo le prime due giornate del torneo di Serie A. Il Bayern Monaco, eliminato da quest’Inter allo stadio dei quarti, fu allora l’avversario della finalissima, nella quale il Principe Milito (in gol pure nella gara-scudetto di Siena e nella finale di Coppa Italia) fece ballare la rumba allo stopper argentino Demichelis, mandato in confusione da cotante finte ubriacanti in quel del Bernabeu. Ma quella è storia di ieri, adesso Barella e compagni sono chiamati a scrivere con la penna delle emozioni un nuovo esaltante romanzo d’autore, un Triplete diverso dal precedente, ma non meno prestigioso.
Pagina a cura di CARLO SCOLOZZI