Il malessere economico che da anni attraversa il Cantone sta lasciando spazio a un sentimento più profondo: la sfiducia nella capacità politica di affrontare – e risolvere – i problemi reali della popolazione.
Stipendi considerati troppo bassi, prezzi in continua crescita e un mercato del lavoro che molti definiscono “snaturato”, stanno alimentando una frustrazione diffusa. E questa volta il tono è diverso dal passato: più duro, più diretto, più determinato.
“Stiamo affondando, e chi dovrebbe aiutarci discute, rimanda, e non cerca soluzioni concrete”.
Le testimonianze raccolte restituiscono un quadro netto.
Molti residenti raccontano difficoltà crescenti nel far fronte a bollette, affitti e premi di cassa malati. Altri parlano apertamente di “impossibilità di costruire un futuro” nel Cantone.
La critica più ricorrente? Lentezza, mancanza di coraggio politico, e poca lungimiranza.
«Qui i salari sono fermi da anni mentre tutto aumenta», afferma un padre di famiglia di Bellinzona. «E la politica cosa fa? Commissioni, analisi, studi. Nel frattempo la vita reale corre molto più veloce».
Frontalieri e mercato del lavoro: il tema più controverso.
Sempre più residenti denunciano difficoltà nel trovare un impiego in Ticino, segnalando che in numerosi settori la priorità nell’assunzione viene data ai lavoratori frontalieri, spesso più convenienti per le aziende. Una dinamica che, secondo molte testimonianze, riduce drasticamente le opportunità lavorative per chi vive nel Cantone.
E quando un residente riesce comunque a ottenere un impiego, il salario offerto è spesso molto basso, con condizioni che non riflettono il costo reale della vita ticinese. Il risultato, come sottolineano diversi cittadini, è una forte diminuzione del potere d’acquisto, che mette a rischio la stabilità economica delle famiglie e alimenta un senso crescente di frustrazione e ingiustizia.
Le critiche dei residenti non si rivolgono ai lavoratori frontalieri, bensì alla carenza di norme atte a limitare gli effetti di un differenziale economico che, a loro giudizio, danneggia la popolazione domiciliata e fiscalmente attiva nel Cantone.
«Il dumping salariale non è uno slogan: è un fenomeno che vediamo nei nostri contratti, nelle nostre buste paga», afferma una lavoratrice del Mendrisiotto. «Finché non verranno introdotti controlli veri, la situazione non potrà che peggiorare».
La critica alla politica: “Si è smarrita la priorità del territorio”
I cittadini puntano il dito contro quello che definiscono un “cantonalismo debole”, incapace di proteggere i residenti nei settori più esposti.
Secondo loro, la politica ticinese avrebbe perso di vista le priorità interne, preferendo linee di compromesso che non rispondono all’urgenza della popolazione.
«Non ci servono altre analisi, ci servono decisioni,» ripetono i cittadini. «Gli equilibri politici vanno bene, ma non quando diventano un alibi. Il vero problema non è capire cosa fare, è trovare il coraggio di farlo.»
Le richieste: minimi salariali adeguati, controlli rigidi, tutela dei residenti
Le misure avanzate dalla popolazione sono chiare:
- adeguamento del salario minimo al reale costo della vita;
- controlli più severi contro il dumping salariale;
- incentivi all’assunzione dei residenti;
- interventi per contenere affitti, energia, premi assicurativi e beni di consumo primari.
- pubblicazione annuale di un rapporto sulla situazione economica reale dei ticinesi.
Il crescente attivismo civico lascia intendere che il malessere non è più circoscritto ai social o alle discussioni informali. Sempre più cittadini, infatti, scelgono di organizzarsi, di partecipare a incontri pubblici, di inviare lettere collettive alle autorità e di unirsi a gruppi spontanei nati per dare voce a queste preoccupazioni. Segnali che mostrano come la frustrazione stia uscendo dalla dimensione del semplice sfogo digitale o della chiacchiera da bar per trasformarsi in una forma di partecipazione politica attiva, strutturata e determinata. Un cambiamento che, secondo molti osservatori, rappresenta un indicatore chiaro: la popolazione non percepisce più la situazione come temporanea o risolvibile con piccoli aggiustamenti, ma come un problema sistemico che richiede risposte concrete e immediate.
La sensazione diffusa è che, senza risposte rapide, i cittadini ticinesi siano pronti a far sentire la propria voce in forme nuove e più incisive.
Il clima – lo dicono molti – non è più quello di una normale preoccupazione economica, ma quello di una stanchezza profonda. E questa stanchezza, oggi, è diventata anche una presa di posizione politica.
In conclusione, i cittadini lanciano anche una sfida diretta agli esperti di economia che, da anni, analizzano la situazione ticinese limitandosi a presentare dati, sondaggi e grafici che confermano ciò che la popolazione vive quotidianamente. «Le analisi siamo ormai in grado di farle anche noi,» osservano, «quello che manca davvero sono strategie concrete e soluzioni applicabili per restituire potere d’acquisto ai ticinesi.»
La richiesta è chiara: non soltanto descrivere il problema, ma contribuire a risolverlo.
E per questo la vox populi si rivolge proprio a economisti, ricercatori e ai loro studenti: trovate proposte reali, idee innovative e strumenti efficaci per ridare fiato all’economia delle famiglie ticinesi. È questa la sfida: non spiegare la crisi, ma aiutare a superarla.
Thomas Chiesa





