Mondo, 18 maggio 2020

I dieci anni di Viktor Orban, come è cambiata l'Ungheria

Il 29 maggio il primo ministro ungherese Viktor Orban celebrerà il decimo anniversario consecutivo della sua permanenza al potere. Per longevità il leader del partito conservatore Fidesz è superato in Unione europea solo dalla “Cancelliera” Angela Merkel, in sella a Berlino dal 2005, mentre entro i confini nazionali nel 2021 Orban, contando anche la precedente esperienza di governo dal 1998 al 2002, aggancerà, Kalman Tisza, per 15 anni consecutivi leader dell’Ungheria asburgica (1875-1890), come primo ministro più longevo della storia del Paese.

Il decennio di Orban è stato caratterizzato da un radicale cambiamento politico, sociale ed istituzionale del Paese. L’Ungheria, Paese di circa 10 milioni di abitanti, ha virato verso le posizioni conservatrice, sovraniste e identitarie del suo primo ministro, abile sia a cavalcare i risultati positivi della crescita economica che a sfruttare un rafforzamento della coesione istituzionale per l’ingresso di Fidesz in strutture politiche, apparati, gruppi di interesse.

La svolta dell’Ungheria

L’Orban del decennio 2010-2020 è assai diverso dal giovane leader liberale, liberista ed europeista che tra il 1998 e il 2002 negoziò l’ingresso di Budapest nell’Ue, celebrò a fianco di Bill Clinton alla Casa Bianca l’entrata dell’Ungheria nella Nato e propugnava una profonda occidentalizzazione del Paese.

Sul piano economico l’Ungheria di Orban ha unito una serie di misure strategicamente volte ad aumentare il controllo pubblico sui settori principali, ad esempio attraverso la nazionalizzazione dei fondi pensione nel 2011, a manovre pragmatiche finalizzate ad aumentare l’attrattività fiscale ed economica del Paese, come la flat tax , che dal 2011 è pari al 15% per le persone fisiche e, dal 2017, al 9% per le società. finalizzata a importare piccole e medie imprese dal resto d’Europa.
Integrata nella catena del valore tedesca, l’Ungheria ha favorito lo sviluppo infrastrutturale e industriale con i fondi di coesione europei, ma il controllo della leva monetaria le ha permesso di giocare attivamente sul cambio del fiorino per favorire le esportazioni e l’autonomia da “battitore libero” ha garantito a Orban accordi di ampio respiro da miliardi di euro con Russia e Cina.

A livello aggregato, la crescita complessiva del Pil ungherese dal 2010 ad oggi, anche scontando l’effetto recessivo indotto dalla crisi del debito del 2010-2012, è stata del 18%: dai 130 miliardi di euro di Pil del 2010, infatti, l’Ungheria è arrivata ad avere un Pil di 157 miliardi nel 2018, in virtù di un trend di crescita accelerato nel mandato di Orban iniziato nel 2014.

Profondamente unite alle politiche economiche espansive sono state le misure volte a rafforzare le famiglie promuovendo manovre destinate a incentivare la crescita demografica. Come scritto su Inside Over, “per ovviare alla mancanza di forza lavoro nel settore manifatturiero il governo non intende certo aprire le porte del Paese a lavoratori stranieri, ma anzi sta cercando di incentivare le famiglie a fare più figli per far crescere la popolazione ungherese. Le misure di Budapest a favore della natalità sono chiare ed evidenti: niente tasse a vita delle tasse a partire dal quarto figlio, prestito di 32mila euro per le donne sposate e altre agevolazioni varie sui mutui”.

Il matrimonio tra Fidesz e lo Stato

Mano a mano che la ripresa economica si concretizzava, Orban e Fidesz rafforzavano la loro presa sulle istituzioni politiche ungheresi.

A partire dal 2010  Fidesz, scrive Foreign Policy,  “ha avuto modo di centralizzare il potere, di monopolizzare i media e costruire una rete di patronati locali fortemente dipendenti dagli intermediari regionali del partito”. Vicino al partito di governo si è creata una nuova borghesia imprenditoriale “magiarizzata”, legata a doppio filo al governo, che ha monopolizzato “gli impieghi pubblici, le compagnie statali, le istituzioni e il complesso degli appalti per i lavori finanziati dal bilancio pubblico”. Incarnazione del matrimonio tra il partito e lo Stato è il magnate dell’energia Lorinc Meszaros, amico d’infanzia di Orban originario della medesima cittadina di provincia, Felcsut, del primo ministro e passato in pochi anni dal ruolo di imprenditore locale alla conquista di un patrimonio da 1,1 miliardi di dollari.

Sul piano eminentemente istituzionale, Orban ha teorizzato la “democrazia illiberale”, puntando a inserire nella Costituzione ungherese elementi di ideologia conservatrice, retorica nazionalista e sovranità nazionale, così da rompere definitivamente con gli eredi del Partito comunista egemone nel secondo dopoguerra. Nella prima revisione costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 2012 il governo di Fidesz ha sottolineato l’importanza della centralità
della famiglia, della tradizione, dell’etica e delle radici cristiane dell’Ungheria; il nome del Paese è stato ufficialmente cambiato da “Repubblica di Ungheria” in “Ungheria”; una controversa  legge sulla cittadinanza ungherese concessa anche a coloro che vivono al di fuori del paese (“Legge sulla Naturalizzazione Semplificata”), è stata criticata dalla Slovacchia e dalla Romania, Paesi con una forte minoranza magiara al loro interno.

Le (consapevoli) contraddizioni di Orban

Come principale bersaglio retorico e come personalizzazione delle idee da lui contrastate Orban ha più volte indicato il finanziere statunitense di origini ungheresi George Soros. Orban, in gioventù, beneficiò di borse di studio della Open Society del magnate protagonista di numerose operazioni speculative e spericolate in Paesi come l’Italia e il Regno Unito, salvo poi identificarlo come nemico numero uno della sua leadership. Soros incarnerebbe, a detta di Orban, l’ideologia mondialista, globalista ed iper-europeista che minaccerebbe il futuro del Paese. Curioso constatare come più volte Orban non si sia, invece, preoccupato di adottare posizioni ispirate da un altro deus ex machina di oltre Atlantico come Steve Bannon.

E l’atteggiamento sul tema dell’influenza reale o presunta di Soros nel Paese è emblematica della capacità di Orban di giocare con astuzia e abilità politica sul filo della contraddizione. Il tema del rapporto tra Ungheria e Unione Europea e la questione dei migranti ne sono un plastico esempio.
In un discorso del 2014, Orban seppellì definitivamente i dogmi neoliberisti presentando la sua idea di
Stato come entità di costruzione, rinvigorimento e organizzazione della comunità nazionale, rilanciando politiche economiche assertive e in controtendenza con le prescrizioni dell’Unione europea. Dalla definizione di “democrazia illiberale” alla recente legge sullo stato d’emergenza Budapest e Bruxelles si sono più volte scontrate, ma nonostante tutto le autorità dell’Europa non possono fare a meno di Orban e dei voti di Fidesz, che restando nel Partito popolare europeo non si è mai isolata dai tavoli negoziali. Potendo contare sul proseguimento dei flussi di fondi di coesione a sostegno della sua economia.

Sui migranti, Orban è riuscito a costruire un‘agenda retorica senza che nel Paese ci fosse una reale problematicità con rifugiati, profughi o stranieri di religione islamica. Più volte, i leader anti-immigrazionisti e sovranisti dell’Europa mediterranea hanno indicato in Orban un modello e un esempio dell’approccio ideale al tema dei migranti e del rifiuto dell’accoglienza ignorando di rappresentare la prima linea dell’Ungheria, Paese privo di accesso al mare e a cui non sembra vero di poter delegare ad altri il “lavoro sporco” della gestione concreta di sbarchi e ricollocamenti, ottenendo poi i dividendi politici da ispiratrice del contrasto all’immigrazione clandestina.

Orban è questo: una consapevole contraddizione, un leader sagace e machiavellico abile a giocare su più tavoli e a rilanciare la posta sul piano politico. Non a caso sul fronte interno la sua maggiore vittoria è stata, senza ombra di dubbio, la capacità di costringere il centro-sinistra socialista a cercare alleanze e accordi con l’ultradestra di Jobbik in nome del contrasto a Fidesz, depotenziando la critica della prima coalizione sulla “deriva autoritaria” nel Paese e l’insistenza della seconda sulla (invero innegabile) crescita della corruzione a partire dall’ascesa di Orban.

Verso il futuro

Orban è attualmente uno dei leader europei depositari del maggior consenso in campo europeo. Dal 2009 ad oggi, in sei diverse tornate tra elezioni europee (2009, 2014, 2019) e parlamentari (2010, 2014, 2018) Fidesz non è mai scesa sotto il 44% dei consensi (alle politiche del 2014) e complice la riforma iper-maggioritaria del sistema elettorale con il 49% dei consensi ora il partito di governo controlla oltre i due terzi del Parlamento di Budapest.

La crisi del coronavirus non ha impattato con enorme durezza la leadership di Orban, che si mantiene elevato nei tassi di gradimento: la vera prova per il suo governo sarà la sfida economica che ne seguirà. Gli anni a venire saranno inoltre decisivi per l’Ungheria e per la sua agenda volta a creare un crescente compattamento tra i Paesi dell’Europa centrale ed orientale. Tutto lascia pensare che Orban, 57enne, possa puntare a un quinto mandato da premier nel 2022, allungando potenzialmente la sua leadership fino al 2026. Questo ha lasciato sinora nell’ombra la questione della ricerca di un erede politico di un leader che ha saputo plasmare un partito e un Paese a sua immagine e somiglianza. Ma che dovrà necessariamente riflettere su come evitare di disperdere la sua eredità.

Andrea Muratore / insideover.it

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