Sono sempre più convinto che gli islamisti attivi in Europa guadagneranno la loro battaglia, e che nel giro di due o tre generazioni una buona parte del nostro Continente – Svizzera compresa – sarà islamizzata in modo irreversibile. Ciò non tanto per merito di questi furbi islamisti e degli scaltri burattinai che da Paesi musulmani li finanziano e li manovrano , ma per colpa della scelleratezza di noi occidentali che, anche se siamo stati grandi colonizzatori, non abbiamo ancora capito la loro strategia di colonizzazione e in nome di sacri principi etici e liberali stendiamo tappeti rossi alla loro avanzata, favorendo non solo la loro crescita demografica con una sfrenata immigrazione ma pure il loro sfruttamento dello spazio pubblico a fini di propaganda e di proselitismo.
Questo non è un Paese per islamisti
A rinfrancare questa mia certezza sono state le prime reazioni negative a una notizia per certi versi sorprendente e beneaugurante data dai giornali negli scorsi giorni. Ossia che la maggioranza dei membri della Commissione della legislazione del Consiglio comunale di Locarno ha formulato un preavviso favorevole ad una mozione di tre anni fa che chiedeva di vietare l’uso del burkini nei luoghi di balneazione pubblici del fiume Maggia e del lago Maggiore. E’ ancora presto per dire se la proposta – avanzata da alcuni consiglieri della Lega dei ticinesi e dell’UDC – sarà accolta dal Consiglio comunale : in caso affermativo sarebbe comunque bello se qualcuno lanciasse un referendum , in modo da ampliare il dibattito su una questione giudicata dai perbenisti come un “non problema” e per dare ai cittadini di Locarno la possibilità di usare il voto per chiudere la bocca a questi perbenisti e ribadire ancora una volta – dopo la votazione sui minareti e quella sul burqa – che questo non è un Paese per islamisti.
Con o senza referendum sarei pure pronto a scommettere che contro il divieto assisteremo a una mobilitazione da parte della stampa mainstream cartacea, online, televisiva e radiofonica (dove i giornalisti che votano a sinistra rappresentano il 75%), ma anche da parte di liberali che per principio sono contro i divieti, da parte di femministe che sostengono la libertà di vestirsi come si vuole e da parte dei rappresentanti del mondo della cultura che in ogni occasione ( burqa, minareti ecc.) si schierano a prescindere dalla parte dell’islam e del multiculturalismo perché fa più chic.
Per l’intellighenzia nostrana il burkini è un “non problema”.
Anzi, a dire il vero la mobilitazione a favore del burkini è già iniziata . A dare il “la” al dibattito ci ha pensato il direttore de La Regione, Matteo Caratti, il quale in un commento pubblicato in prima pagina nell’edizione del 27 agosto scorso si è chiesto che fastidio dà chi prende il sole pur coprendo buona parte del corpo e dopo aver osservato che i politici dovrebbero occuparsi dei veri problemi ( fra cui quello di mantenere o ritrovare il posto di lavoro messo in pericolo dalla crisi economica dovuta al Covid-19) ha concluso sentenziando che il divieto del burkini “ è il solito fumo negli occhi che non ci porta avanti di un millimetro e anzi, indietro di secoli” .
Per non essere da meno, anche il settimanale “Il Caffè” è sceso in campo a favore del burkini nell’edizione del 30 agosto con un articolo di Andrea Bertagni dal sublimale titolo “Il burkini nelle spiagge ? Problema inesistente come il velo e il burqa” . Il titolo riassumeva i pareri dei cinque personaggi intervistati, che guarda caso – con tanti saluti all’oggettività - erano tutti contrari al divieto, ritenendo che quello del burkini sia un “non problema” e che vi sono problemi più importanti da risolvere.
E’ sempre la stessa storia. Quando un argomento dà fastidio si preferisce minimizzarlo con il pretesto che vi sono problemi più importanti. Lo si diceva ad esempio anche contro l’iniziativa “antiburqa” lanciata dal sottoscritto nel 2011 , e che però venne approvata nel 2013 da un 65% di cittadini che evidentemente condividevano l’importanza di quel divieto.
E’ vero che vi sono problemi apparentemente più urgenti e importanti di altri, ma nessuno vieta alla politica di occuparsi degli uni e degli altri, e fino a prova del contrario nel nostro sistema democratico non vi è un dittatore o un giornalista che decide quali problemi trattare e quali no, ma oltre al Governo è anche il Popolo che detta l’agenda, sia tramite l’uso della democrazia diretta e sia tramite i suoi rappresentanti eletti nei vari Legislativi. Quindi se tre anni fa, dopo un periodo di attentati terroristici in Europa, alcuni consiglieri comunali di Locarno avevano deciso di dare un segnale ai fanatici islamisti presentando una mozione contro l’uso di un costume tanto fondamentalista quanto il burqa, il Consiglio comunale è tenuto a trattare la proposta possibilmente entro i termini fissati dalla legge e indipendentemente da eventuali altre priorità venute a galla nel frattempo.
La triste sorte delle donne nei Paesi islamici: ad esempio l’Iran
Ma siamo poi sicuri che quello del burkini sia un “non problema” ? Come spiegherò più sotto, il burkini è un costume apparentemente innocuo che però è utilizzato dagli islamisti, al pari di altri simboli, abbigliamenti o riti , per islamizzare l’ambiente e abituare fin da piccoli gli occidentali alla presenza dell’islam in modo da facilitare le conversioni, per poi , fra due o tre generazioni , sottomettere tutti ad Allah e sostituire le nostre leggi democraticamente decise dal Popolo con le leggi coraniche . Il problema non è “se” ciò accadrà, ma “quando accadrà”, e quel giorno tutti si accorgeranno che tutto ciò che veniva considerato un “non problema” sarà diventato il problema numero 1. Le nipoti di Matteo Caratti e di tutti coloro che oggi si battono per la libertà di vestirsi come si vuole , malediranno la cecità e la scarsa lungimiranza dei loro nonni e delle loro nonne, e dovranno sottostare all’obbligo di coprirsi di veli , come accade in quasi tutti i 57 Paesi islamici sparsi nel mondo. E se vorranno andare al Lido dovranno indossare il burkini, che a quel momento non sarà più vietato ma obbligatorio.
Uno di questi 57 Paesi islamici è l’Iran, dove, dopo la rivoluzione islamica del 1979, che portò al potere una casta di religiosi fanatici e sanguinari (gli ayatollah), le bellissime donne persiane che fino ad allora sotto il regime dello scià si vestivano all’occidentale (all’inizio degli anni Settanta, nelle discoteche e nei bar di Losanna, ne avevo conosciute diverse che studiavano in quella bella città) dovettero da un giorno all’altro indossare il chador, il lugubre velo nero che ricopre le donne dalla testa ai piedi lasciando libero solo il volto. Non fu certo una loro libera scelta, cari difensori della libertà di vestirsi come si vuole. Oggi sempre più donne in Iran contestano questa imposizione e manifestano in vari modi la loro protesta, togliendosi coraggiosamente il velo nelle strade o nelle foto pubblicate sui social. E molte di loro finiscono in prigione per anni, fra l’indifferenza delle femministe occidentali che, senza vergogna , son pronte a scendere in piazza – e in Ticino l’hanno fatto - a favore di quelle islamiste che vogliono ( o devono?) indossare il burqa. Ecco quel che succederà anche in Europa il giorno in cui si instaurerà il Califfato islamico, che è l’obiettivo di tutti gli islamisti attivi nella fitta rete di moschee, centri culturali e associazioni che si estende sul nostro Continente come una ragnatela .
Perché ho fatto questo riferimento a quanto successo in Iran (ma anche in molti altri Paesi asiatici e africani , fra cui l’Algeria, dove durante la guerra civile combattuta fra il 1991 ed il 2002 i membri del braccio armato del partito degli islamisti sgozzavano le donne che si rifiutavano di indossare il velo islamico) ? Perché fra i sei personaggi che sul Caffè hanno ironizzato sul divieto del burkini e del burqa, definendolo un “non problema e un qualcosa che va contro la libertà individuale” vi era un iraniano, il fotografo Reza Kathir, un mio coetaneo e amico fin dai tempi dell’adolescenza. Ma possibile che quanto successo nel suo Paese (dove fra l’altro in base alla sharia gli omosessuali vengono impiccati e le adultere lapidate) non gli abbia insegnato nulla e non abbia contribuito ad aprirgli gli occhi sulle strategie messe in atto dagli islamisti per islamizzare le società non islamiche o per reislamizzare quelle islamiche che si erano laicizzate ? Caro Reza, che delusione , spero che non ti sia radicalizzato anche tu !
Tutti i veli islamici sono bandiere dell’islam politico
Burka, burkini e veli di ogni tipo sono strumenti di oppressione e sottomissione della donna, e non simboli di libertà. Invece di battersi qui da noi per la “libertà” di indossarli (facendo così il gioco dei fanatici radicalizzati) bisognerebbe battersi per liberare milioni di donne musulmane dall’obbligo di indossarli, cominciando a dare il buon esempio in Europa . In certi casi è proprio con le proibizioni che si salvaguardano le libertà, come aveva detto un consigliere di Stato socialista, il vodese Pierre-Yves Maillard, a proposito del divieto del burqa (cfr. il Corriere del Ticino del 5 novembre 2015).
Nel suo libro del 2017 “La Suisse plaque tournante de l’islamisme” , nel quale denuncia la crescente radicalizzazione dei musulmani in Svizzera, la musulmana zurighese d’origini tunisine Saïda Keller-Messahli , fondatrice e presidente