Avrebbe in particolare gestito una pagina Facebook che “incitava la popolazione all’insurrezione” contro il governo di al-Sisi, nonché lavorato come Imam in una moschea diretta dai Fratelli Musulmani, facendosi inoltre ritrarre in compagnia di diversi membri della suddetta organizzazione.
È adducendo questi presunti motivi di persecuzione che nell’estate scorsa l’Imam egiziano è tornato in Svizzera. Il 5 luglio ha bussato alla porta del centro di registrazione di Chiasso e ha presentato una domanda d’asilo, dicendosi in pericolo nel suo Paese.
In novembre però la SEM ha respinto la domanda dell’Imam egiziano. Gli è stato fatto notare che, essendo già stato in possesso di un permesso di soggiorno in Svizzera, la decisione in merito all’eventuale rilascio di un nuovo permesso di dimora spettava alle autorità cantonali che nel 2015 avevano deciso di espellerlo.
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L’Imam ha quindi chiesto alle autorità cantonali il rilascio di un nuovo permesso di dimora. Nel contempo ha pure ricorso contro la decisione della SEM, chiedendo il riconoscimento dello statuto di rifugiato.
 
Evadendo il ricorso, i giudici del TAF hanno sottolineato che l’uomo non risulta essere ricercato dalle autorità egiziane. Si sono inoltre detti stupiti del fatto che egli abbia atteso il 2020 per chiedere asilo in Svizzera, nonostante le asserite persecuzioni risalissero al 2017. Segno che forse le persecuzioni non erano reali come da lui decantato.
 
“Alla luce di quanto ammesso dal ricorrente stesso – scrivono i giudici nella sentenza di recente pubblicazione – egli parrebbe aver presentato una domanda d’asilo con l’intento di aggirare la legislazione in materia di diritto degli stranieri”.
 
Il suo ricorso è quindi stato respinto. Sulla stessa linea, anche le autorità cantonali hanno respinto la sua richiesta di un nuovo permesso di dimora. Dopo aver pagato le spese giudiziarie, l'Imam egiziano dovrà quindi lasciare la Svizzera una seconda volta.
                
						
                
				
                
                                                
            
            
			
            
            L’Imam ha quindi chiesto alle autorità cantonali il rilascio di un nuovo permesso di dimora. Nel contempo ha pure ricorso contro la decisione della SEM, chiedendo il riconoscimento dello statuto di rifugiato.
Evadendo il ricorso, i giudici del TAF hanno sottolineato che l’uomo non risulta essere ricercato dalle autorità egiziane. Si sono inoltre detti stupiti del fatto che egli abbia atteso il 2020 per chiedere asilo in Svizzera, nonostante le asserite persecuzioni risalissero al 2017. Segno che forse le persecuzioni non erano reali come da lui decantato.
“Alla luce di quanto ammesso dal ricorrente stesso – scrivono i giudici nella sentenza di recente pubblicazione – egli parrebbe aver presentato una domanda d’asilo con l’intento di aggirare la legislazione in materia di diritto degli stranieri”.
Il suo ricorso è quindi stato respinto. Sulla stessa linea, anche le autorità cantonali hanno respinto la sua richiesta di un nuovo permesso di dimora. Dopo aver pagato le spese giudiziarie, l'Imam egiziano dovrà quindi lasciare la Svizzera una seconda volta.
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