Sport, 07 marzo 2024

Lo sport supera le barriere: Iran e Nord Corea in pista!

Hockey: i Mondiali “improbabili” della Divisione III (gruppo B) in Bosnia Erzegovina

LUGANO - Quando si pensa all’ho-ckey su ghiaccio, tolto l’amore per Ambrì Piotta o Lugano, il pensiero della maggior parte delle persone vola al Nord America e al freddo del Canada, oppure rimanendo alle nostre latitudini è connesso con la Scandinavia, l’Est Europa e la Russia. Vi sono però realtà molto più nascoste, e quasi del tutto sconosciute, dove questo sport viene praticato e sta prendendo piede per uno sviluppo globale fortemente voluto dalla federazione internazionale. Il sistema gerarchico IIHF prevede, oltre alle 16 partecipanti al Mondiale del gruppo A, di dividere le altre nazionali in gruppi da 6 ognuno divisi per livello e giocati con un gruppo all’italiana e senza playoff. Per l’anno in corso (vista l’esclusione di Bielorussia e Russia per i ben noti motivi) sono in lizza 56 nazionali.


Nessun scherzo
A leggere questi nomi molti di voi penseranno ad uno scherzo, o forse ad un bicchiere di troppo, invece è tutta realtà. della Divisione III (gruppo B), in corso di svolgimento a Sarajevo, partecipano,Bosnia Erzegovina, il territorio autonomo di Hong Kong però iscritto con il nome di Hong Kong China,Singapore, nota per essere una delle nazioni con la più alta densità di popolazione per km ma non solo: le Filippine, quindi un paese inquietante, visti gli ultimi sviluppi politici, che si chiama Iran. E se quanto letto sinora vi ha fatto sorridere preparatevi con l’ultima iscritta, un nome che risuona pesante nelle televisioni di tutto il mondo, per ben altri motivi, parliamo della famigerata Corea del Nord. A rendere il tutto un po’ meno spettrale e più romantico c’è la “Skenderija Arena”, costruita nel 1969 con una capacità di circa 5600 spettatori e nella quale sono state giocate anche alcune partite dell’Olimpiade invernale 1984 vinta dall’USSR (nel roster anche l’ex bianconero Igor Larionov). L’Arena ora dedicata al cestista Mirza Delibaši c è sopravvisuta ai bombardamenti della guerra dei Balcani, almeno nella sezione principale. Ora è polivalente per diversi sport tra cui anche pallacanestro e pallamano.


La squadra del regime
Come sappiamo il regime del dittatore Kim Jong-Un, ha reso la Corea del Nord lo stato più chiuso e totalitario al mondo. Il sistema è diviso in classi e la propaganda non mostra assolutamente la realtà né a livello nazionale né tantomeno internazionale. Quanto visto qui a Sarajevo ha solamente confermato, anzi è andato oltre, alle nostre aspettative. Ai giocatori, ovviamente non facenti parte dell’elite nordcoreana, sono stati confiscati i passaporti appena atterrati in Bosnia da parte del management della spedizione. Ma questo non è tutto, la federazione nordcoreana ha richiesto un hotel solamente per loro in cui sono state rimosse le TV dalle stanze dei giocatori e bloccato pure internet. Ovviamente per i componenti della squadra non è ammesso nessun spostamento se non scortati dal management fino alla pista. In contrapposizione a questo però la delegazione manageriale nord coreana – che appartiene alla casta del paese - la si poteva tranquillamente trovare in giro per la città seduta in un bar o ristorante; o addirittura vederli intenti ad osservare un film sullo smartphone (vietatissimo a tutti gli altri) mentre la squadra svolgeva il warm-up prepartita. Quanto visto ci ha però fatto venire un dubbio: al termine di ogni sfida è stato suonato l’inno della squadra vincente e vedere questi ragazzi nordcoreani convinti e felici, forse troppo, di cantare mi ha fatto riflettere “canteranno davvero perché contenti di avere vinto? Mostrano felicità perché obbligati e temono ripercussioni in patria? Oppure credono davvero che il loro sia il paese più felice al mondo grazie al leader?
”.


Ferite aperte
Il nome Sarajevo rievoca la guerra dei primi anni 90 e la distruzione vista nei video di repertorio. Ma Sarajevo è stato in grado di ripartire come molte altre volte nella storia; è una città dalle due anime un crocevia tra Occidente e Oriente dove convivono pacificamente diverse culture e religioni. I palazzi distrutti sono stati ricostruiti ma le ferite psicologiche, troppo fresche per essere rimarginate, sono ancora ben presenti; a ogni angolo si possono notare memoriali per le varie vittime tra cui il genocidio di Srebrenica.


Sotto certi aspetti è una città ancora fortemente legata al passato e alle tradizioni (il simbolo delle Olimpiadi ’84 è ovunque) ma che guarda al futuro in modo concreto. Nel centro storico “Baš c aršija”,dove il tempo sembra essersi fermato, si può respirare un’atmosfera che ricorda molto la Turchia con i suoi bazar, i negozietti vecchio stampo, i ristoranti brulicanti di gente con la musica balcanica con i minareti delle moschee a fare da cornice. Bastano però pochi passi e ci si ritrova in un’altra dimensione, nelle vie attorno al centro hanno iniziato a fare capolino i grandi marchi internazionali spesso alla porta accanto di una piccola realtà locale. La capitale bosniaca ridefinita con altri colleghi “città dei 100 musei” sprizza cultura ad ogni angolo dando sempre una visione differente a seconda di come la si guarda. Aspetti sia positivi come la grande sicurezza ma anche negativi come il fumo, in questa eterna contrapposizione tra passato e futuro. Dei bosniaci ci hanno colpito il patriottismo e il sentirsi parte della nazione, dovuto ad un passato difficile, per costruire un futuro migliore. All’esterno della “Skenderija Arena” campeggiava la scritta “Keep walking”, ecco niente di meglio di queste due semplici parole può definire Sarajevo, una città in continuo movimento.


La cucina locale
Praticamente ad ogni angolo, in particolare nella città vecchia, è possibile trovare dei c evabdžinica o dei burekdzinica; sono i nomi bosniaci per definire i ristoranti con i due cibi più tradizionali. Nei “ c evabdžinica” potrete gustare i “ cevapi”, delle salsicce di carni miste servite con pane pita e cipolle, sono immancabili se mai doveste capitare qui. Lo stesso si può dire per i“burekdzinica” dove c’è la possibilità di gustare il piatto simbolo di tutta la regione balcanica, il “burek”, vale a dire pasta con diversi ripieni tra cui carne, patate, formaggi o spinaci. Entrambi possono essere accompagnati dall’ayran, una bevanda semplicissima a base di yogurt per poi chiudere con un dolce dove avrete la più svariata scelta ma il consiglio rimane sempre il più classico “baklava” di pasta fillo con sciroppo di zucchero e frutta secca.


Il trionfo di Michela
Le Olimpiadi del 1984, quelle del dolce ricordo diMichela Figini (nella foto) medaglia d’oro di discesa libera, sono ancora presenti chiaramente e si possono respirare ovunque per le vie della Capitale. Il logo lo si trova su molte piazze e strade ed i negozi di souvenir vendono, in maniera forse nostalgica, ogni tipo di merchandising connesso all’evento. La mascotte di quell’edizione “Vucko”, un simpatico lupo, è onnipresente ed è ancora il souvenir più venduto ed anche i nuovi centri commerciali, come idea e concetto lontani anni luce dal 1984, hanno dei richiami importanti a questo evento con la figura di Vucko sempre in primo piano.


LUIGI BADONE

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