Sport, 18 luglio 2024

“Lascio lavatrici, palloni e tute per passare a camper e tricicli”

FC Locarno: la storia del magazziniere Bruno Walther che lascia dopo tanti anni

LOCARNO - Bruno Walther è un personaggio d’altri tempi. Uno di quelli che non si possono replicare, nemmeno se inventassero la macchina per la clonazione. All’apparenza scontroso, in realtà è dotato di una generosità d’animo grandissima. E l’ha messa a disposizione del Locarno, del quale è naturalmente tifoso, ma non solo. Da più di quarant’anni lo Stadio Lido è diventata la sua seconda casa, a maggior ragione da quando è diventato il magazziniere del club verbanese. Un mese fa ha detto stop: vuole fare il nonno, lui che formalmente è andato in pensione da un lustro. La chiacchierata che segue è stata fatta proprio in un pomeriggio soleggiato, con una birra, davanti alla buvette del Pardo Club, il posto che Bruno ha occupato per decine di anni, sempre accompagnato dal marchingegno che lui stesso aveva costruito e dal quale scaturivano le melodie che davano il la ai canti della curva. Chissà che le trombette non risuonino di nuovo al Lido, ora che il loro “direttore d’orchestra” è tornato ad essereun semplice tifoso. 


Bruno, il Locarno è la sua seconda pelle…
Già. Sono magazziniere dalla prima stagione seguita al fallimento, ma faccio parte del club in un modo o in un altro da 42 anni come membro e collaboratore del Pardo Club. E devo dire che ho una certa nostalgia degli anni Ottanta, quando i bianchi si fecero valere in Lega Nazionale B e poi in A. C’era tantissima gente a vedere le partite e quando ci spostavamo con i torpedoni erano veri e propri esodi. Sono tantissimi gli episodi che potrei raccontare, ma il ricordo più bello è legato alla trasferta di Coppa Svizzera in quel di Neuchâtel nel 1985. Contro quella corrazzata, capitanata da Ueli Stielike e piena di nazionali, andammo a vincere 2-1. Poi a fine anno venne la meritata promozione in A, con migliaia di persone nelle strade della città a festeggiare. Ma fu il successo contro lo Xamax a farmi battere più forte il cuore.


Com’è passato nello staff della prima squadra?
Ci fu qualcuno in comitato che propose il mio nome e allora fui ingaggiato in prova. Devo essere andato bene nei primi tempi, perché sono precario da sei anni oramai (ride, ndr). Ma adesso basta. Lo avevo detto anche altre volte, è giunto davvero il momento. Voglio finalmente godermi la pensione, visto che negli ultimi 5 anni ho dedicato tutto il mio tempo libero al calcio, in pratica da quando ho raggiunto i 65 anni. Non sono pagato, lavoro a titolo di volontariato, l’ho fatto molto volentieri, ma non riesco più seguire il ritmo. Sono praticamente impegnato sempre, contando le giornate in cui ci sono gli allenamenti e le partite, siano esse amichevoli o di campionato. Adesso voglio fare il nonno, giocare con i nipotini e poter fare dei lunghi giri in camper con mia moglie. Anche loro meritano di vedermi un po’ di più. 


È davvero così impegnativo il suo ruolo? 
Giudicate voi. Un week-end tipo si svolge più o meno così: il venerdì serac’è l’allenamento di rifinitura in vista della partita, che di regola termina alle 21. A quell’ora inizia la serie interminabile di lavaggi con la lavatrice,intervallati dal lavoro delle asciugatrici. Di regola finisco verso le due del mattino. Poi all’alba del giorno dopo bisogna piegare il tutto, preparare le casse per il trasporto, mentre la lavatrice gira per un’ultima volta prima della partenza. Insomma, si dorme pochissimo… 


In quarant’anni ne avrà viste di cotte e di crude… 
È cambiato tutto dagli anni d’oro del calcio ticinese, e parlo degli anni Ottanta. Ma non è solo il mondo del pallone ad essere un’altra cosa, è semplicemente cambiata la società, diventata più individualista e meno idealista nel senso buono del termine. Poi ci sono in giro troppe distrazioni, a cominciare dal numero di sport a cui si può avere accesso. Una quarantina di anni fa c’erano il calcio, l’hockey e la pallacanestro. Oggi c’è di tutto e non so se ciò è necessariamente un aspetto positivo. 


Quest’anno per la prima volta il Locarno non è salito di categoria. 
C’è rammarico perché il Collina d’Oro non ci è stato superiore, né all’andata né al ritorno. In entrambe le partite siamo stati anche penalizzati da qualche svista arbitrale. Peccato, perché avevo l’impressione che ce l’avremmo potuta fare. D’altronde però, non c’era scritto da nessuna parte che fossimo obbligati a centrare l’ennesima promozione di fila. Una stagione in più in un campionato comunque di valore come la seconda interregionale può servire a rinforzare le basi, per riprovarci nella prossima stagione; magari con l’innesto di qualche giovane. Un rammarico di questa grande cavalcata che ci ha portato dalla Quinta lega all’anticamera del calcio semi professionistico è quello di non avere mai vinto la Coppa Ticino, che ci avrebbe garantito l’accesso in Coppa Svizzera. Ospitare qualche grande squadra al Lido sarebbe stato bellissimo. 


Per concludere: chi le ha lasciato dei ricordi indelebili in questi ultimi 40 anni? 
Sono tantissimi i giocatori che mi hanno lasciato un grande ricordo, ma mi sento di citarne due: Stefan Bützer e Pauli Schönwetter. Sono due persone eccezionali, diventate in men che non si dica più ticinesi di molti che qui ci sono nati. Con loro è cresciuto un rapporto che va al di là del mondo del calcio, qualcosa che il tempo non cancellerà mai. Sotto il punto di vista squisitamente tecnico il più forte è stato Beto Barbas, ma è rimasto troppo poco per poter sviluppare qualcosa in più di una conoscenza superficiale. Per quel che riguarda gli allenatori, la scelta è più facile: Toni Chiandussi è stato il condottiero di un Locarno fortissimo, che ottenne la promozione a suon di vittorie e prestazioni da cineteca. Correva il 1986: una vita fa…

OMAR RAVANI

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