LUGANO – 16 allenatori in 18 anni. Una roba pazzesca. Fossimo in Italia, dovremmo fare la conta e la gara con Zamparini, il famoso presidente mangia allenatori, che tra Palermo e Venezia cambiò un numero infinito di tecnici, anche nel corso della medesima stagione. Ma la cosa che fa più riflettere è che dei primi 15 head coach che si sono seduti sulla panchina del Lugano dal 2006 in poi – Uwe Krupp, ovviamente non possiamo ancora considerarlo – nessuno ha lasciato poi le rive del Ceresio col sorriso. Uno non andava bene a un gruppo di giocatori, uno non andava bene a un altro, McSorley non piaceva ad Arcobello, ora Gianinazzi non andava più a genio a una parte dello spogliatoio. Ma è mai possibile che i vari Ruhnke, Slettvoll, Virta, Johansson, Bozon, McNamara, Smith, Huras, Fischer, Shedden, Ireland, Kapanen, Pelletier, McSorley e infine Gianinazzi, non capivano nulla di hockey? Vero, Shedden e Ireland sono arrivati a giocarsi un titolo, ma pochi mesi dopo il loro destino è stato il medesimo degli altri. La verità è che trovare un allenatore che vada bene a 25-30 giocatori è impossibile e allora ci deve essere una società dietro che sia in grado di dettare legge, di far sentire il peso dell’allenatore e di bacchettare, sì, bacchettare, quando qualcosa non va, i giocatori insolenti.
Altrimenti il prossimo ottobre saremo qui di nuovo col pallottoliere a fare la conta degli allenatori che sono arrivati, sono rimasti qualche mese e poi hanno salutato Lugano con una pacca sulle spalle e con poca gratitudine. Anche perché, se il contratto firmato dall’head coach tedesco durerà davvero solo fino al termine di questa stagione, le statistiche e i numeri andranno riaggiornati presto. Pazzesco!
La verità è che a Lugano i problemi non risiedono solo in panchina – per carità Gianinazzi ha fatto scelte sbagliate e quando si è trovato di fronte alle difficoltà anche le sue dichiarazioni facevano acqua da tutte le parti – o sul ghiaccio – anche se alcuni giocatori forse non hanno capito il peso di quella maglia e di quei colori e fare le bizze contro qualsiasi allenatore è una cosa da asilo nido – ma anche in cima alla vetta dirigenziale, cioè in società. L’unico ad averlo capito, ad aver avuto un minimo di amor proprio e di onestà, è stato Hnat Domenichelli che, al netto di alcuni errori in fase di mercato, ha comunque fatto un buono lavoro, ma al momento del benservito al Giana ha preso armi e bagagli e ha salutato tutti, confermando le sue dichiarazioni di qualche anno fa, quando disse che Gianinazzi sarebbe stato il suo ultimo head coach. L’unico, mentre altri in regia di comando sono rimasti ben ancorati alle proprie sedie e ai propri ruoli – alcuni sono poco chiari – per poi “attaccare” la piazza che rumoreggia, i tifosi che scarseggiano o che protestano, come se non si accorgessero di essere al comando di una squadra, di un club, di una società che da 40 anni ricopre – o dovrebbe ricoprire – un ruolo importante nel sistema hockeystico svizzero ed è quindi normale che i propri supporters esigano di poter lottare per i vertici e per le prime posizioni.
La conferenza stampa indetta lunedì ha lasciato gli addetti ai lavori a bocca aperta, non tanto per l’esonero di Gianinazzi che ormai era noto a tutti, ma per i toni e le cose dette. Vero, il fallimento del progetto Gianinazzi è il secondo enorme buco nero della gestione Vicky Mantegazza dopo quello di Patrick Fischer, ma il tecnico della Nazionale poteva contare su di una carriera da giocatore invidiabile, su conoscenze nella federazione elvetica, su di un nome importante e così per lui si sono immediatamente aperte le porte della Nazionale, con cui ha comunque fatto bene. Ma il Giana? Il 32enne ex allenatore luganese è stato letteralmente bruciato da una società che lo ha fatto crescere nelle giovanili, lo ha fatto maturare nell’U20 per poi buttarlo in un calderone complicato e più grande di lui per trovare una soluzione in corsa all’addio a McSorley, per poi prenderlo e gettarlo via. Ora chi penserà mai a Gianinazzi per una panchina in LNA? Anche questi comportamenti sono inaccettabili e frutto di un gruppo gestionale che forse dovrebbe buttare un occhio dall’altra parte di Via Sonvico… Avete mai sentito dire da parte di Joe Mansueto, o da parte di qualcuno dell’FC Lugano, che “forse hanno costretto troppo i giocatori ad andare d’accordo tra di loro”? Frasi da lasciare basiti…
L’HC Lugano negli ultimi anni è cresciuto molto per quanto riguarda il marketing, la comunicazione, le varie iniziative legate agli abbonati – come i biglietti gratuiti per determinate partite a disposizione degli stessi abbonati per poter portare qualche altra persona ad assistere a un match – e la fidelizzazione, ma è chiaro che se poi sul ghiaccio, in panchina e in dirigenza le cose non vanno… è facile far disinnamorare un po’ tutti.