Sport, 07 febbraio 2025

“Ho dovuto ripartire... Così ho cambiato mestiere”

Daniele Pellini ex giocatore di SAM Massagno, Bellinzona, Vacallo e Lugano

BELLINZONA - Daniele Pellini (57 anni) ha fatto un pò di tutto nella vita. Giocatore di basket professionista, commerciante e macellaio. E non si è fatto troppi scrupoli quando 25 anni fa decise di cambiare aria e trasferirsi nei Caraibi. “Ero stufo della Svizzera, volevo conoscere un nuovo ambiente e una nuova cultura. Così presi e me ne andai nella Repubblica Dominicana”, ci ha detto nei giorni scorsi l’ex guardia di SAM Massagno, Bellinzona, Vacallo e Lugano, che abbiamo incontrato nel negozio della Capitale in cui lavora da quando è tornato a casa: “Dopo 7 anni vissuti a Santo Domingo, io e mia moglie Yolanda, conosciuta nell’isola, abbiamo capito che per il bene delle nostre figlie era meglio il Ticino. Avrebbero avuto più possibilità. Perciò ho dovuto iniziare da capo e grazie agli insegnamenti di Curzio Caimi, mio attuale datore di lavoro, ho imparato a fare il macellaio. Mi piace, sono contento, l’ambiente è buono. Insomma: sono ripartito, come si dice nel gergo sportivo, e non mi pento delle scelte che ho fatto. Santo Domingo? Sono 5 anni che non ci vado, ma mia moglie e le mie figlie ci tornano spesso”.


Daniele Pellini ha attraversato un periodo cestistico importante per il nostro Cantone, da metà Anni Ottanta sino a metà Anni Novanta. Ha vestito quattro maglie (come detto SAM, Bellinzona, Vacallo e Lugano) ed ha incontrato personaggi che hanno fatto la storia del movimento. Ne citiamo alcuni: Renato Carettoni, Brunello Arnaboldi e Joe Whelton. Si è pure costruito solide amicizie con Franco Facchinetti e l’indimenticato e compianto Oscar Rota. A Santo Domingo ha inoltre conosciuto e frequentato Chicho Sibilio, giocatore dominicano diventato famoso nel Barcellona, con il quale ha vinto tutto. “Con Chicho abbiamo aperto a San Cristobal, dove vivevo, una scuola basket. Una persona ed uno sportivo, che mi ha insegnato tantissimo. Purtroppo è morto di diabete qualche anno fa. Lo ricordo con affetto”.


Carettoni: un maestro
“Quando ero ragazzino mi interessavo soltanto di basket. Andavo in palestra tutti i giorni. La scuola? Non mi ha mai veramente appassionato tanto che non sono riuscito a finire gli studi e ad oggi non ho un diploma in mano” afferma Daniele. E così, quasi inevitabilmente, ha conosciuto Renato Carettoni, maestro a Massagno (paese nel quale è cresciuto il nostro interlocutore) e grande appassionato di basket. “Devo tantissimo al Vecchio (Renato era chiamato così, ndr), dal quale ho imparato l’ABC di questo sport. Nelle giovanili della SAM è cresciuta la mia passione per il basket. Ricordo che giocavamo sempre al sabato mattino nella vecchia palestra di Nosedo”. Tornando a Carettoni. “Credo che in Ticino non sia mai esistito un formatore ed uno scopritore di talenti come lui. Io ho avuto la fortuna di incontrarlo sul mio cammino. La sua è una grande perdita per il basket”. A proposito del maestro, Pellini ci racconta che “nel 1987 io e lui andammo in macchina a Losanna per assistere alla finalissima di Coppa dei Campioni fra Milano e Maccabì. Io ero, e sono tutt’oggi, tifosissimo della squadra meneghina. Alla fine fu una bellissima trasferta perché
l’allora Tracer vinse. In panchina Dan Peterson e il suo vice Franco Casalini. In campo i vari Mc Adoo, Meneghin, D’Antoni e Premier. Che spettacolo!”.


La finale persa
Della SAM, Pellini ricorda ancora che “con Renato arrivammo in finale di Coppa del 1992 ma perdemmo contro il fortissimo Pully di Brown, che all’epoca dominava in campo nazionale. Uscimmo dal campo a testa alta ed orgogliosi per quello che avevamo fatto” dice l’ex cestista. Poi, l’anno successivo il trasferimento a Bellinzona, che nel frattempo era diventata la piazza più attrattiva del basket cantonale: “Con Sergio Ponzio alla guida nulla era impossibile. Costruì una vera e propria corazzata e i titoli arrivarono subito: Coppe e campionati, con tanto di partecipazione alle Coppe europee. Fu una bellissima esperienza, ricordo che si giocava ancora all’Arte e Mestieri. Non rimasi molto nella Capitale, il tempo di vincere una Coppa e un campionato (nel 1992/1993, ndr). In panchina un certo Joe Whelton: “Un allenatore rivoluzionario, che portò tante novità a livello tecnico e tattico”.


A quel punto, quando la carriera sembrava lanciatissima, l’ex guardia luganese decise di voltare pagina: un esercizio abbastanza frequente ma comunque normale del mondo cestistico ticinese. “Andai a Vacallo, in Lega Nazionale B, dove disputai una buona stagione. Alla fine terminai secondo nella classifica dei marcatori. Poi una nuova svolta, chiamata Lugano”. Sembra che Pellini non trovi terra ferma. In realtà gli piace cambiare e provare nuove avventure (sportive). Sulle rive del Ceresio giocherà per alcune stagioni. “Fu durante la presidenza di Giovanni Antonini, una persona con la quale mi sono sempre trovato bene. Al club bianconero sono rimasto comunque legato, tanto che oggi lo considero il “mio preferito”.


L’amico Oscar 
“Oscar Rota? Una bravissima persona, un tecnico preparato, appassionato e che ha sempre dato il cento per cento per il basket. Era anche un amico, una persona sui cui si poteva contare in ogni momento”: con queste commosse parole Daniele ricorda un vecchio collega scomparso un anno e mezzo fa, l’ex tecnico delle giovanili della SAM e delle Pinkies Bellinzona. Si occupò anche del Gruppo Sportivo Paraplegici del Ticino:“ Si è sempre messo a disposizione dei più deboli, era una sua caratteristica. Uno come lui manca molto al nostro movimento che per altro è in crisi” dice Daniele. A proposito: “Il basket svizzero di oggi? Non mancano i talenti, però mancano le strutture, manca un valido coordinamento nazionale e i buoni progetti restano spesso e volentieri nel cassetto. Bisogna investire di più nella formazione”avverte Pellini. E in Ticino? “Ma vi sembra normale che nel nostro movimento ci siano sempre gli stessi personaggi di 40 anni fa? Sono certamente utili, ci mancherebbe, però questo significa che non c’è ricambio. E se non c’è ricambio è perché il basket non interessa più. Un peccato!” conclude.

M.A.

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