Un cittadino kosovaro, oggi 48enne, è stato condannato otto volte in Svizzera, tra il 1996 e il 2006, e nel 2011 gli era stato vietato l'ingresso per cinque anni. Tornato nel suo Paese, lui e i suoi complici hanno cercato di contrabbandare 110 chili di hashish dal Kosovo alla Svizzera, passando per l'Albania e l'Italia. La banda è stata colta in flagrante dalle autorità albanesi e aveva quindi trascorso quattro anni e mezzo dietro le sbarre.
Una volta rilasciato, nel 2016, questo bodybuilder professionista ha chiesto l'autorizzazione ad entrare in Svizzera per soggiornare con la sua famiglia a Zurigo. Nascondendo la sua condanna in Albania, ha allegato alla sua richiesta un estratto del casellario giudiziario vergine del Kosovo.
Secondo l'accusa i dipendenti dell'Ufficio cantonale della migrazione avrebbero “trascurato documenti importanti o non li avrebbero letti”. L'uomo ha quindi ricevuto il permesso di soggiorno il giorno successivo alla sua richiesta.
Il 48enne, padre di tre figli, ha poi proseguito la sua attività criminale gestendo nel 2020 un impianto di coltivazione indoor di cannabis a Regensdorf, nel canton Zurigo. Le cose sono peggiorate seriamente nell'agosto 2021, quando ha tentato di far saltare in aria un bancomat a Dietlikon (ZH) con l'aiuto di un complice. L'operazione si concluse con un fallimento, ma l'esplosione causò danni per quasi 70'000 franchi. Arrestato sei mesi dopo, l'uomo si trova da allora in carcere preventivo.
È stato assolto nel caso della produzione di cannabis indoor, per mancanza di prove, ma condannato nel 2023 per un assalto a un distributore automatico, ricevendo una pena detentiva di 5 anni e 4 mesi e l'interdizione di soggiorno in Svizzera per 14 anni. Condanna contro cui ha presentato ricorso all'Alta Corte del canton Zurigo.
Venerdì, nel corso del secondo processo, l'uomo si è dichiarato innocente. Quando il giudice gli ha chiesto perché non avesse rivelato la sua condanna in Albania, ha risposto: “Pensavo che l’ufficio immigrazione lo sapesse”. Riguardo alle tracce di Dna rinvenute sul luogo dell'esplosione del distributore automatico, dichiara nuovamente di non essere preoccupato.
Contando sul fatto che le analisi del DNA presentavano lacune, il suo avvocato ha chiesto l'assoluzione totale del suo cliente, il rilascio immediato e un risarcimento, cosa che il pubblico ministero ha negato. Chiedendo una pena detentiva di sei anni e un mese, ha dichiarato che la vita di quest'uomo è stata “segnata dalla criminalità”.
La Corte d'appello di Zurigo lo ha infine condannato martedì a una pena detentiva di cinque anni e mezzo e a dieci anni di espulsione dalla Svizzera. La sentenza non è tuttavia ancora definitiva e può ancora essere impugnata dinanzi al Tribunale federale.