Il Mattino della domenica, e il suo direttore Lorenzo Quadri, sono stati attaccati dal fronte politico e mediatico progressista per aver criticato la scelta delle Aziende industriali di Lugano (AIL) di sponsorizzare una campagna di reclutamento apprendisti utilizzando una donna con il velo islamico. Son volate parole grosse, come “xenofobia” o “razzismo antimusulmano”. Ma ciò che gli islamo-gauchistes nostrani non vogliono capire è che ad essere razzista è semmai quell’ideologia pseudoreligiosa di stampo totalitario e fascista, chiamata islam, che predica l’odio e la violenza contro tutti coloro che non sono musulmani, e che utilizza simboli come quello del velo per marcare il territorio conquistato e islamizzare l’ambiente. E dunque è giustificato opporsi in ogni modo possibile alla diffusione del velo islamico nella nostra società, perché non si tratta di un semplice capo di abbigliamento o di un’innocua usanza religiosa, bensì di un subdolo strumento di controllo e di sottomissione. Ogni mezzo è buono per “combattere i miscredenti fino a quando non si saranno tutti convertiti all’islam” , come ordina Allah nel Corano (8:39).
Chi difende il velo favorisce l’islamizzazione
A dimostrazione del fatto che in questo dibattito la xenofobia o il razzismo non c’entrano, basti dire che nel mondo islamico numerosi sono coloro che si battono contro tutti i tipi di veli. In un’intervista pubblicata l’8 luglio 2019 sul sito del Guastafeste (http://ilguastafeste.ch/intervistaamagdiallam.pdf), l’ex-musulmano Magdi Allam, aveva detto: “Quando gli islamici vogliono occupare un territorio e sottomettere la popolazione all’islam, la prima cosa che fanno è imporre alle donne di indossare il velo. Di fatto il velo è il simbolo più manifesto della sottomissione all’islam e della presenza di una strategia di islamizzazione. Pertanto difendere il velo islamico e legittimarne l’uso significa favorire l’islamizzazione e in prospettiva la propria sottomissione all’islam”. Chi difende la “libertà” di indossare il velo islamico è dunque un collaborazionista asservito agli interessi dei nuovi colonizzatori, oppure è un “utile idiota” , ossia un ingenuo che simpatizza con l’”occupante” senza rendersi conto di essere manipolato dallo stesso.
Il velo è un imperativo politico degli islamisti
Saïda Keller-Messahli, è una musulmana tunisina che a Zurigo ha fondato il Forum per un islam progressista. Questa coraggiosa donna, vincitrice nel 2016 del Premio svizzero per i diritti umani, si era battuta a favore dell’iniziativa antiburqa approvata dagli svizzeri nel 2021 e aveva scritto un libro (“La Suisse, plaque tournante de l’islamisme”) nel quale accusava i politici non solo di aver sottovalutato lo sviluppo dell’islamismo in Svizzera, ma di averlo deliberatamente ignorato. A proposito del velo islamico aveva scritto: “Tutti i tipi di dissimulazione della donna sono la bandiera dell’islam politico, che si tratti del foulard, del niqab o del burqa. Questo stendardo rende visibile nello spazio pubblico la progressione dell’islamismo (…) Si deve impedire ogni forma di dissimulazione della donna musulmana, perché essa non rappresenta una prescrizione religiosa ma un imperativo politico degli islamisti”. E ancora: “Tutti i tipi di veli promossi nell’islam sono inaccettabili perché propagano l’idea discriminatoria che il corpo della donna è indecente ed è una fonte di peccato per l’uomo”. Difatti nel Corano (33:59) Allah chiede a Maometto di invitare le donne musulmane a coprirsi dei loro veli “così da essere riconosciute e non essere molestate”: il velo è dunque una sorta di marchio discriminatorio dal significato poco religioso che serve a distinguere le pie donne musulmane dalle altre, in modo da proteggerle dalle brame sessuali degli uomini musulmani (esponendo di riflesso a eventuali molestie le donne non velate…).
L’islamismo cresce grazie alla sinistra
In un’intervista rilasciata al Corriere del Ticino il 5 giugno 2018 (titolo: “C’è un piano degli islamisti per conquistare l’Europa”), il grande scrittore musulmano algerino Boualem Sansal, ha spiegato quali sono le strategie usate dagli islamisti per indottrinare e convertire gli “infedeli”. Fra queste vi è quella di islamizzare l’ambiente, ad esempio facendo circolare le donne velate, perché in tal modo, a forza di abituarsi alla loro presenza e di vivere in un ambiente islamico, i bambini crescono e diventano musulmani credendosi nativi di questi valori. Il 76.enne scrittore sa di cosa parla perché ha vissuto in prima persona la reislamizzazione fatta in Algeria ad opera della potente setta dei “Fratelli musulmani” dopo la guerra di indipendenza dalla Francia (1954-1962), e ha vissuto gli orrori della sanguinosa guerra civile svoltasi dal 1992 al 2002, quando molte donne vennero uccise dai miliziani islamici perché si rifiutavano di indossare il velo. Fra queste povere vittime vi era una giovane donna della quale si era innamorato Mohamed Hamdaoui, un musulmano algerino emigrato in Svizzera, dove era stato eletto nel Gran Consiglio di Berna fra le fila dei socialisti. Quando nel 2016 venne lanciata l’iniziativa federale antiburqa, Hamdaoui decise di sostenerla in ricordo della sua amica che era stata decapitata dagli islamisti ed entrò così in rotta di collisione per motivi ideologici con il Partito socialista, che invece avversava l’iniziativa. Perciò cambiò partito passando nel 2018 al PDC. In un’intervista pubblicata il 14 aprile del 2018 su Le Temps egli dichiarò di ritenere molto plausibile che l’opposizione del PS all’iniziativa fosse giustificata dal fatto che la stessa era stata lanciata da un comitato vicino all’UDC, e aggiunse: “Sono persuaso che la sinistra sia in parte responsabile per la crescita dell’islamismo in Occidente, perché nell’intento di non favorire la crescita dell’estrema destra ha evitato di aprire un dibattito di fondo su questo fenomeno”.
Il significato del velo è l’apartheid sessuale
Fra le donne algerine che durante la guerra civile rifiutavano di indossare il velo vi era Djemila Benhabib, che si salvò fuggendo in Francia nel 1994. Benhabib ha raccontato le sue esperienze nel libro “Ma vie à contre coran”, dove a proposito del velo ha scritto: “Per gli integralisti, essere musulmana significa portare il velo islamico, che può avere diverse forme ma che nella sostanza ha un sol significato: l’apartheid sessuale (…). Il fatto che il velo islamico sia più o meno tollerato nei servizi pubblici in gran parte dell’Europa é rivelatore di una mentalità largamente diffusa secondo cui esso fa parte dell’ «identità collettiva musulmana » e che dunque la sua proibizione equivarrebbe a essere intolleranti e razzisti, visto che dopotutto si tratta di una questione di libertà individuale (…) Ma accettando il velo noi contribuiamo inconsapevolmente a rinforzare e a modellare l’ « identità collettiva musulmana » così come essa viene concepita dagli integralisti, perché non c’é nulla nel Corano che ne faccia un obbligo esplicito , come invece pretendono gli integralisti. Solo due versetti nel Corano menzionano il velo, e comunque nessun castigo é previsto, né nel Corano nè negli hadith, per chi non lo indossa”.
Musulmane tradite dalle femministe occidentali
Le pseudofemministe rossoverdi si battono per la presunta libertà di scelta delle donne musulmane, facendo così il gioco degli islamisti e suscitando le giustificate proteste di quelle donne musulmane che, in molti Paesi islamici, vengono incarcerate, torturate, sfregiate con l’acido o uccise perché rifiutano di indossare il velo, e che si sentono tradite dalle femministe occidentali. In un’intervista pubblicata il 6 maggio 2019 sul quotidiano italiano “Il Giornale”, la femminista antropologa italo-somala Maryan Ismail si lamentava per l’obbligo di portare il velo esistente in diversi Paesi teocratici e osservava che “in Occidente il femminismo storico ha perso questa battaglia. La stiamo portando avanti noi, donne afgane, tunisine, marocchine, donne che cercano di emanciparsi, soffrendo molto. Non mi affido alle donne di sinistra e femministe perché una cosa del genere non la capiscono. Hanno tutti i diritti del mondo e non si rendono conto che questi diritti mancano alle donne musulmane”. Anche per colpa di queste femministe, le donne musulmane che si rifugiano in Europa per liberarsi dalla schiavitù del velo arrischiano di cadere dalla padella alla brace.
Il velo islamico non è una libera scelta
Ma è poi vero che da noi le donne musulmane che indossano il velo lo fanno per loro libera scelta e non perché obbligate dai loro famigliari o per paura di subire molestie sessuali? Sentiamo cosa ne pensa l’ex-musulmana Wafa Sultan, una ginecologa siriana emigrata negli USA nel 1989, dove esercita la professione di psichiatra e dove ha pubblicato libri, come “L’islam fabbrica di squilibrati?” e “L’islam en question”, da cui abbiamo ripreso i seguenti stralci: “ Il velo ha tenuto nascoste dal mondo intero le musulmane e ha eretto una barriera fra gli uomini e le donne di una stessa società; quando si affronta questo argomento le donne pretendono di essere state loro a decidere di coprirsi la testa e che tutti gli altri devono rispettare tale decisione. Si tratta forse di una loro decisione, ma certamente non di una loro scelta. E’ la paura che lega le donne dei paesi arabi a questi insegnamenti”. Nel 2015 l’ex vicepresidente del PS svizzero Pierre-Yves Maillard ricordò in un’intervista al settimanale Hebdo che in Turchia le femministe si erano battute per il mantenimento del divieto di portare il velo nelle Università, perché sapevano che “a volte è la proibizione che rende liberi”.
Le aziende possono proibire il velo
Ecco dunque tanti buoni motivi per proibire in Occidente il velo islamico, a cominciare dalle scuole dell’obbligo e dai posti di lavoro a contatto con il pubblico, perché le soldatesse velate dell’islam contribuiscono a islamizzare il Paese in cui vivono. La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha di recente stabilito che il divieto di portare il velo islamico sul posto di lavoro non è discriminatorio se tale misura vale per tutti i simboli religiosi, e ciò nell’intento di evitare conflitti sociali all’interno dell’azienda e di garantire la neutralità della stessa in modo da evitare conseguenze negative per le sue attività. Ecco una sentenza di cui dovrebbero tener conto quelle aziende, come le AIL di Lugano ma anche La Posta e le Ferrovie federali, che, accettando il velo islamico sul posto di lavoro in nome della tolleranza verso altre culture e religioni, promuovono in realtà la diffusione nel nostro Paese dell’islam, che, dove predomina, si dimostra intollerante verso gli appartenenti di altre culture e religioni.
La libertà di religione ha dei limiti
C’è chi, a difesa del velo islamico, fa notare che l’articolo 15 della Costituzione federale garantisce la libertà di coscienza e di religione. Già, ma lo stesso articolo precisa che nessuno può essere costretto ad aderire a una comunità religiosa o a compiere un atto religioso. E allora sarebbe ora di chiarire una volta per tutte che l’islam non è compatibile con la nostra Costituzione, perché ad esempio proibisce ai musulmani di cambiare religione (pena la morte), li obbliga a rispettare il ramadan (pena la morte) e obbliga chi vuol sposare una donna musulmana a convertirsi all’islam. Ci si dovrebbe dunque chiedere fino a che punto è lecito garantire certe libertà ai seguaci di un dogma totalitario, intollerante e violento che non applicano la reciprocità e che, ai tempi di Hitler, si erano alleati con i nazisti contro gli ebrei.
Senza dimenticare che anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo mette dei limiti alle varie libertà, stabilendo che nessuno Stato, o gruppo o persona ha il diritto di esercitare un'attività o di compiere un atto che mirino alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati. Orbene, chi segue le vicende islamiche sa che l’obiettivo dichiarato degli islamisti nel mondo è quello di utilizzare le libertà concesse dalla democrazia per poi distruggere queste stesse libertà sostituendole con le rigide regole religiose e antidemocratiche della sharia.
Giorgio Ghiringhelli