Sport, 28 aprile 2025

HCL, fallimenti e ripartenze. Con Mitell la volta buona?

Dal 2006 ai giorni nostri: la storia di un’incredibile serie di tecnici licenziati

LUGANO - Dal 2006 ad oggi, dall'ultimo titolo di campione svizzero in poi, il Lugano ha cambiato 15 allenatori (nella lista non sono inclusi gli interinati di Fischer e Mc Namara). Un record a livello nazionale, e forse a livello continentale. Non crediamo esista un club che abbia usato la 'scure' col proprio allenatore in modo così frequente come quello bianconero. Ma tant'è: oggi il Mattino della Domenica, nella speranza che il nuovo tecnico Tomas Mitell riesca finalmente a restare il più a lungo possibile sulla panchina che scotta, ricorda uno per uno i precedessori dello svedese: quasi tutti hanno fallito, e non sempre per colpa loro. 


Da idolo a reprobo
Stagione 2005/2006: il tecnico italocanadese Ivano Zanatta subentra a Larry Huras (del quale è vice) dopo gara 2 dei quarti di finale: sotto 2-0 nella serie contro l’Ambrì Piotta, l'allora presidente del Lugano Beat Kaufmann decide di affidare le redini della squadra a Ivano Zanatta e Harold Kreis, quest'ultimo fatto venire in fretta e furia da Coira, dove allenava. E la strana coppia compie il miracolo: non solo rimonta ed elimina i biancoblù ma vince anche il titolo, l’ultimo dei bianconeri. La stagione seguente Ivano Zanatta, rimasto solo sulla tolda di comando, perde Nummelin, Peltonen, Metropolit e Rüeger ma riesce comunque ad arrivare sino ai quarti (eliminato dal Kloten). Nessuno fa drammi, in fondo la squadra, pur perdendo qualità, ha giocato un hockey propositivo. Ma nel campionato seguente, ecco che Ivano diventa inviso alla dirigenza e in particolar modo al presidente Paolo Rossi, e dopo un derby perso in malo modo (0-1 alla Resega, gollonzo di Zanetti) viene cacciato. Arriva Kent Runhke, già tecnico di Bienne, Zurigo e Berna che però dura solo 8 partite. Lo spogliatoio non lo regge e i risultati sono peggiori di prima. Il rischio di finire per la prima volta nei playout è grande. E così anche lui è costretto a fare le valigie. Al suo posto, udite udite, riecco John Slettvoll, per un Lugano quater che dura mezza stagione. Lo svedese salva la squadra ai playout ma la stagione successiva (2008/2009) 'fugge' clamorosamente nella notte senza avvisare nessuno: è in rotta di collisione con la dirigenza. Il Lugano si vede costretto a cambiare. Ancora. Il suo successore, Hannu Virta, porta la squadra ai quarti di finale ma poi viene sollevato dopo la sconfitta contro il Davos in gara 7. Lascia senza aver vinto una sola partita durante i tempi regolamentari.


Il grande Kenta
Nel 2009/2010 ecco l'ennesimo grande ritorno: quello di Kent Johansson, apprendista coach. Il nome tira ancora e i dirigenti lo ingaggiano come tecnico. Giocare è un conto, allenare un altro. Infatti Johansson non dura molto: i risultati non arrivano e il gioco non si vede. Aggiungiamoci pure che la rosa ha perso qualità. Inevitabile il cambio. Fuori Johansson, dentro un altro ex, Philippe Bozon, che non ha esperienza ma potrebbe diventare bravo. Così dicono gli esperti. Invece arriva un altro fallimento: a rischio relegazione, e con i secondi playout della storia all'orizzonte, i bianconeri decidono di voltare pagina. Il nuovo DS Roland Habisreutinger (colui che disse "a Lugano manca la cultura del lavoro" e mandò i giocatori in montagna a spaccare legna!), prende tale Greg Ireland, allenatore praticamente sconosciuto. Ma grazie alla sua tenacia e alla sua determinazione, i bianconeri battono il Rapperswil e si salvano. A volte i tecnici cosiddetti improbabili fanno meglio di quelli collaudati o famosi.


Il mistero Barry Smith
Si arriva così nella primavera del 2011, quando il club annuncia in pompa magna l'arrivo di Barry Smith, allenatore canadese di grande prestigio e già vincitore di ben cinque Stanley Cup! La squadra non ingrana ma perlomeno si mantiene fra le prime 8. Poi a ottobre, come un fulmine a ciel sereno, Smith se ne va, insalutato ospite. I motivi di quella defezione ancora oggi sono sconosciuti (un po' come la recente fuga di Schultz…). E allora il Lugano si affida ad un cavallo di ritorno: Larry Huras. Nonostante il suo licenziamento in pieni playoff del 2006, il tecnico di Ontario accetta ben volentieri il posto offertogli dalla neo-presidente Vicky Mantegazza. Resterà due anni, senza grossi riscontri. Il Lugano esce ai quarti contro Friborgo e Zugo, senza mai dare l'impressione di poter ambire ad un titolo che ormai manca da 7 anni. Dietro al canadese, intanto, scalpita un certo Patrick Fischer, già giocatore bianconero e vincitore di un titolo nel 1999, quando in panchina c'era Jim Koleff. Il destino di Huras è segnato e infatti non gli viene rinnovato il contratto. Nell'estate del 2013 c’è l’ennesima... ripartenza.


La Fischer Revolution
La chiamano così i giornalisti ticinesi che seguono l'hockey. A proposito nel libro Duecento derby di Piergiorgio Giambonini e Flavio Viglezio si legge "Ad un certo qualcuno si inventa il tormentone della Fischer Revolution. Forse perché un paio di mesi prima, alla tradizionale conferenza stampa pre-campionato, buona parte dei giocatori bianconeri si erano presentati sfoggiando barbe più o meno folte da playoff fuori stagione, ribattezzati barbudos al servizio del loro nuovo lider e del suo braccio destro. E il passo dalla Revolucion cubana alla Revolucion di Fischer è appunto breve". E rivoluzione è, in tutti i sensi. Via Metropolit, via Domenichelli, via Morant e Fritsche. A Lugano sembra che finalmente ci sia un progetto serio e duraturo, con giocatori in rampa di lancio e non vecchie (per modo di dire) glorie. Fischer ha nuove visioni e chi non le vuole sposare, può andarsene. Purtroppo per lui, la revolucion dura solo due stagioni e mezzo, perché alla fine sono sempre i risultati che contano. Per due volte i bianconeri sono eliminati nei quarti dal Ginevra e nel 2015 avviene, quasi inevitabilmente, una nuova svolta. Con le lacrime agli occhi, la presidente Mantegazza annuncia il licenziamento del suo pupillo e l'ingaggio di un tecnico canadese molto conosciuto in Svizzera, Doug Shedden.


Gli anni delle finali
Le scelte tecniche di Fischer ed un gioco che stenta a decollare, fanno sì che il club si affidi, appunto, a una guida canadese. Shedden incarna perfettamente la filosofia dell' hockey nordamericano e dopo un inizio balbettante il Lugano inserisce la quinta marcia ed approda, dopo ben 10 stagioni, alla finalissima dei playoff. Purtroppo la benzina è finita e nella serie decisiva del 2016, pur perdendo 4 partite per un solo gol, cede al Berna, rilanciato dalla cura Lars Leuenberger. Sembra, comunque, l'inizio di una nuova era e ciò avviene mentre il portiere Elvis Merzlikins, per altro lanciato coraggiosamente da Patrick Fischer nel 2013, diventa uno dei migliori portieri in Svizzera. Sembra… Infatti nel campionato successivo il rapporto fra Shedden e i vertici societari si inceppano e dopo mezza stagione viene messo alla porta da Roland Habisreutinger, diventato nel frattempo suo nemico giurato. Quest'ultimo toglie dal cilindro un suo vecchio amico, Greg Ireland, già in bianconero qualche anno prima. E con il canadese la squadra giunge alle porte della finalissima. Purtroppo a frenarne la marcia c'è ancora il Berna, che elimina Lapierre e soci in semifinale. La frustrazione è grande, e lo sarà ancora di più l’anno dopo, quando i ceresiani approdano in finale, e dopo aver recuperato da 1-3 a 3-3 nella serie contro lo Zurigo, perdono in casa gara-7. Una delusione tremenda. Siamo nel mese di aprile del 2018. Da allora il Lugano non ha più superato lo scoglio dei quarti di finale.


Un crollo verticale
Il club nel 2019 decide di non rinnovare il contratto al pur valido Ireland (errore immenso!). La dirigenza ha infatti messo gli occhi su Sami Kapanen, che con il suo KalPa incanta e vince la Coppa Spengler del 2018. Il club punta forte su di lui ma il finlandese non ne azzecca una giusta e a quel punto la società, dopo averne annunciato entusiasticamente il suo ingaggio come se fosse il nuovo Messia, lo scarica. Un altro buco nell'acqua. E così si ricorre aSerge Pelletier, già vice di Koleff, che prova a risollevare la squadra. Poi arriva il Covid 19 e la stagione viene fermata. Nel 2020/2021 l'attuale opinionista di Teleticino arriva secondo in regular season ma nei quarti cade a sorpresa sotto i colpi del Rapperswil. Invece di riconfermare il buon Serge, il Lugano decide che è ora di puntare su un altro usato sicuro, sul mitologico (per i ginevrini)Chris McSorley. Tempo un anno e mezzo e sul finire del 2022 viene cacciato anche lui. Infine, ed è storia recente, l’ennesimo esperimento (fallito): stavolta con il trentenne Luca Gianinazzi, bruciato da un gruppo di dirigenti incompetenti, che non capisce che promuovendolo a head coach lo manda al massacro. Altra conferenza stampa, altre lacrime (o quasi) per informare i giornalisti che il tecnico fatto in casa è stato licenziato. Al suo posto arrivaUwe Krupp, che fallisce l'obiettivo dei play-in e non viene riconfermato per la prossima stagione. È di giovedì scorso, infine, la notizia dell'ingaggio (atteso) della coppia Mittel-Hedlund. Sarà la volta buona?

RED.

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