L’Università della Svizzera italiana torna al centro del confronto politico. Durante un intervento in Gran Consiglio dedicato al Dipartimento educazione, cultura e sport (DECS), il deputato Andrea Giudici ha sollevato una questione che da tempo circola: la composizione sempre più italiana – e sempre meno ticinese – del corpo studentesco dell’USI.
Secondo i dati citati, quasi il 70% degli studenti dell’USI sarebbe di nazionalità straniera. Di questi, oltre la metà proveniente dall’Italia, mentre gli studenti ticinesi rappresenterebbero meno del 30%. Numeri che, secondo Giudici, pongono un interrogativo politico e istituzionale sul ruolo dell’ateneo.
Nel suo intervento, il deputato ha usato parole nette: «L’USI ha quasi il 70% di studenti stranieri dei quali oltre il 50% di italiani (i ticinesi sono meno del 30%), sarebbe forse meglio chiamarla Università italiana in Svizzera!». Una provocazione che mira a riaprire il dibattito su missione, finanziamento pubblico e ricadute per il territorio.
La questione non riguarda solo le statistiche, ma il rapporto tra un’università sostenuta in larga parte da fondi pubblici cantonali (circa 200 milioni tra USI e SUPSI) e la sua capacità di rispondere alle esigenze formative dei giovani ticinesi. Un tema destinato a restare sul tavolo politico, soprattutto in una fase in cui si discute di priorità di spesa e di governance delle istituzioni pubbliche.





