Ticino, 07 dicembre 2020

RSI tra molestie e mobbing: “Ci hanno rovinato”

Uno? Nessuno? Una quarantina! Il numero di persone che hanno segnalato di avere subito mobbing o molestie tra le mura della RSI sta di giorno in giorno aumentando. Il sindacato svizzero dei Mass Media sta raccogliendo ogni testimonianza, e sperando che non finisca tutto in un bel “volemose bene”,per colpire duramente gli autori di questi ignobili gesti. Modi di fare, tra l’altro, sempre additati (giustamente) dall’emittente di Comano. Non è la prima volta che emergono casi del genere, come spiega Renato Minoli, giornalista e sindacalista SSM, secondo il quale denunce di questo tipo “in passato ce n’erano già state, ma di solito le vittime sono molto restie a parlarne. E questo perché dopo la denuncia, non viene allontanato l’autore ma sono loro a subire conseguenze”.

E noi, di vittime, o presunte tali, ne abbiamo ascoltate due. Dai loro discorsi traspare che qualche cosa, nell’ingranaggio dell’informazione verso l’alto, alla direzione, qualcosa si è inceppato. Volontariamente? Non sta a noi dirlo o giudicare i fatti che ora sono nelle mani di chi di dovere. Ma potete trarre qualche conclusione leggendo quanto segue.
 
Ogni giorno apprezzamenti di serie… B

“Quando mi hanno detto che avrei potuto lavorare per la radio e televisione della Svizzera di lingua italiana non potevo crederci. Dopo tanti sacrifici ero arrivata dove volevo. Un sogno, ma che ben presto si è trasformato in una sorta di incubo”, ci svela X. (nome noto alla redazione). “Il mio superiore (chiamiamolo così) già dal primo giorno ha cominciato a fare apprezzamenti sul sorriso, sui miei occhi, sul ‘mio bel faccino’.

Man mano che le settimane passavano si è fatto più insistente: non si discuteva nemmeno più del mio lavoro, se era fatto bene o male, ma di uscire a cena. Questa era la sua unica preoccupazione: uscire a cena con me. Fino a quando siamo arrivati al giorno fatidico, dopo migliaia di commenti sul mio lato B, della pacca sulle chiappe”. Già, avete capito bene. “Io sono rimasta impietrita, non sapevo cosa fare e non ho detto nulla perché ho paura di rimanere a casa. Non voglio rinunciare a qualcosa che penso di meritare
grazie alle mie competenze”.
Qualità che aveva anche il nostro secondo interlocutore.
 
Cornuto e mazziato

“Dopo anni di gavetta nel mondo della carta stampata, ho avuto la possibilità di entrare in RSI a tempo determinato, con una percentuale bassa (non al 100% dunque)”, inizia così il discorso di Y.(nome noto alla redazione). Tutto bene, fino a quando:

“Non vado a cozzare contro l’incompetenza di un vice. Avete in mente quando gettate un sasso nello stagno e le rane perdono l’equilibrio sulle foglie di narciso? Ecco, io ero il sasso, l’altro il rospo. Si è sentito minacciato dalle mie capacità e ha cominciato a remarmi contro. Andava dal capo a raccontare solo falsità sul mio conto, mi ha messo contro alcuni colleghi e lavorare con lui è diventato presto impossibile. Ogni volta che avevamo il turno insieme mi minacciava ‘oggi vedrai come ti combino’. La cosa grave è che altri capi lo sapevano, e non hanno mai detto nulla!La ciliegina sulla torta è quando ha appeso una foto con scritto il mio nome e l’epiteto ‘sei una merda’. Angosciante quanto umiliante”. Non ci crediamo e chiediamo dunque di vedere la foto.

È come ci racconta: in bella mostra, appiccicato sul pilone della redazione, visibile a tutti, campeggia questa scritta ‘intelligente’. E ora: “Ora non lavoro più lì. Ho raccontato come stavano le cose a chi di dovere, mi ha detto di tenere duro che era solo il suo modo di scherzare. Altro rospo che non sono riuscito ad ingoiare e ho dato le dimissioni, cornuto e mazziato. Un momento molto difficile anche perché vedevo persone arrivate dopo di me assunte al 100% a tempo indeterminato, anche un’italiana (la classica raccomandata)”.

C’è anche chi racconta che dopo una relazione con una superiore finita male, la nostra fonte sia stato oggetto di ricatto dalla stessa, solo perché ritornato con la compagna di prima: “Mi diceva che lei aveva in pugno chi ‘comandava’ il nostro settore, perché la trattava come una figlia. Sono scappato e ho rovinato la mia carriera. Ora voglio giustizia”.

Mauro Botti / MDD

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