Sport, 22 marzo 2021

“Nazionale, il futuro è roseo. Il materiale umano c’è!”

Intervista a Gianluca Barilari, ex allenatore della squadra rossocrociata

Dopo aver guidato la nostra nazionale maggiore maschile per quattro anni, Gianluca Barilari ha, come noto, deciso di rinunciare al suo incarico. Una scelta che ha sorpreso un po’ tutti anche se il tecnico l’aveva messo in preventivo nel caso la Svizzera avesse mancato la qualifica per gli Europei 2022. Cosa che è purtroppo avvenuta. Malgrado l’obiettivo fallito le soddisfazioni non sono mancate e Barilari è stato senza dubbio uno degli artefici della crescita di questo collettivo che, non dimentichiamolo, ha dimostrato di saper reggere il passo di paesi cestisticamente più evoluti. L’apice – e qui coach Barilari lo ricorda con piacere – è stata la vittoria sulla Serbia, una delle nazioni più forti in circolazione.

Il tecnico nato a Roma ma da una vita in Ticino (ha sposato l’ex giocatrice del Bellinzona De Dea) ha sempre mostrato una profonda conoscenza della materia e queste caratteristica non è passata inosservata. A ciò va aggiunto che la sua esperienza pluriennale in Turchia gli ha permesso di accrescere le sue basi tecniche. Per questo, quattro anni fa, i dirigenti federali lo hanno scelto per dare una svolta tutto il movimento dopo l’altalenante (e spesso discutibile) rendimento della Nazionale con l’attuale coach del Friborgo Aleksic.

Con Barilari il Mattino della Domenica ha voluto tracciare un bilancio della sua esperienza con la rappresentativa rossocrociata.

Quali sono i motivi che l’hanno spinta ad abbandonare il suo incarico. Problemi con la Federazione? O con la squadra? O c’è dell’altro?
Non ci sono stati problemi, né con i dirigenti federali e nemmeno con la squadra. Avevo semplicemente fissato in quattro anni il mio periodo e come obiettivo principale mi ero imposto la qualificazione agli Europei del 2022. Dopo la grande vittoria sull’Islanda (nell’agosto del 2019 recuperati ben 20 punti e vinto di 24!) che ci ha permesso di accedere alle vere qualifiche continentali, eravamo molto fiduciosi. Purtroppo nel girone europeo principale non è andata come speravamo e quindi con grande serenità ho lasciato il mio posto ad un successore che, sicuramente, troverà un buon terreno fertile su cui lavorare per il futuro.

Come detto avete spesso fatto gioco pari con avversarie di valore, vincendo con la Serbia di due punti e perdendo nel febbraio del 2020 con la Finlandia dopo aver condotto di ben 18 punti all’inizio del terzo quarto. Cosa è veramente mancato allora per fare il botto?
Diciamo innanzitutto che non abbiamo mai
mollato, mostrandocarattere ed una certa quadratura di gioco. Ci sono mancati alcuni puntipreziosi, due volte con la Finlandia e la seconda volta nella “bolla” di Tiblissi (Georgia), occasione in cui Marko Mladjan era fisicamente al 30 per cento e non ho potuto contare - causa il Covid - su Baldassarre, altro lungo importante. La maggiore esperienza ed il miglior tasso fisico e tecnico hanno fatto la differenza. Io non cerco alibi però devo ammettere che il fatto di non aver potuto contare su questi due elementi si è rivelato decisivo, visto che la Svizzera non può contare su un parco giocatori di un certo spessore. Ecco perché penso che sia estremamente importante lavorare alla base per poter dare continuità al programma… 

La rinuncia è da considerare una sconfitta per lei?
Assolutamente no. Come detto prima, le mie idee erano ben chiare e quindi ho agito di conseguenza nel caso in cui non fossimo riusciti a centrare il traguardo della fase finale di Euro 2022. Ora continuerò a lavorare sempre per la Federazione ma nel settore giovanile, nel quale avrò spazio e tempo per far crescere i ragazzi.

L’esperienza è stata certamente pagante… 
Senz’altro, soprattutto dal punto di vista umano. Siamo riusciti a creare un vero gruppo, unito, voglioso di continuare a crescere sul piano internazionale. La nostra squadra mi ha reso felice per la sua attitudine e per la mentalità espressa nei momenti difficili. Segno di una certa maturazione.

Secondo lei ci sono le premesse per salire nella gerarchia internazionale?
Penso di sì, occorre lavorare congrande intensità e con le giuste motivazioni. C’è un gruppo di ragazzi dai 15 ai 21 anni molto interessante, il futuro è roseo, considerando che abbiamo anche dei giovani negli Stati Uniti a fare esperienza.

Ad esempio Antony Polite, figlio dell’indimenticato Mike: potrebbe essere una delle punte di diamante della nuova Svizzera.
Con lui sono rimasto spesso in contatto: può essere, ma bisognerà vedere con i suoi impegni nel college.

Se un domani dovesse arrivare una seria offerta da parte di un club la valuterebbe? Di recente ha detto di voler tornare un giorno in Ticino.
Per ora resto con la Federazione con la quale mi trovo a mio agio. Un domani chissà, se dovesse arrivare una chiamata la valuterei ma per lavorare soprattutto con i ragazzi.

GIANNI MARCHETTI

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