Qualche anno fa, durante una delle sue apparizioni quotidiane nella redazione del Mattino della Domenica, Attilio Bignasca tirò fuori da una busta una foto in bianco e nero e ce la mostrò con orgoglio e particolare soddisfazione. “ Sai chi è questo signore alle spalle di Johann Cruyff?” ci disse. Senza indugi e mossi da grande curiosità lanciammo lo sguardo verso quell’immagine che teneva ben stretta fra le mani come se si trattasse di un cimelio.
Il signore vestito di nero era lui, l’ex coordinatore della Lega Ticinesi purtroppo scomparso un anno fa. Prima ancora che potessimo rispondere al suo quesito, Attilio non seppe trattenere un “a sum mi!”,sono io. Già, il guardalinea Bignasca ritratto assieme ad uno dei più grandi calciatori della storia. Meglio di lui, forse, solo Maradona e Pelé. Nella stessa foto è ritratto anche l’arbitro svizzero Jean Dubach (morto 15 anni fa) e il capitano del Belgio Piot.
Era il 25 aprile del 1976: si giocava la partita d‘andata dei quarti di finale degli Europei, allo stadio De Kuip di Rotterdam si affrontavano Olanda e Belgio. L’assistente ticinese faceva parte di una terna tutta rossocrociata. Per gli amanti delle statistiche ricordiamo che finì 5-0 e i tulipani si qualificarono per il quadrangolare finale che sarebbe poi stato vinto dalla Cecoslovacchia. La foto che pubblichiamo oggi è anche il simbolo di una carriera arbitrale e di una passione per il calcio che ha accompagnato per tutta la vita l’imprenditore luganese, grande competente, fra l’altro, della materia. I suoi commenti agli eventi nazionali e internazionali non lasciavano dubbi. La sua capacità analitica lo distingueva ma non solo: era alieno da pregiudizi e faziosità.
Dai campetti al calcio d‘elite
“Il calcio è sempre stata una passione di famiglia” disse una volta. A soli 10 anni, insieme al fratello Nano, giocava sul balcone di casa e qualche volta si recava ai campetti di Molino Nuovo, dove conobbe Alfio Molina, il grande portiere dell’HC Lugano, che in quelle occasioni si metteva a disposizione dei più vecchi colleghi. Erano gli Anni Cinquanta, e come disse Attilio, “allora c’era solo quello, o al massimo c’era il basket che si giocava negli spazi di cemento vicini al fiume Cassarate e del centro”.
E mentre il fratello Giuliano sciorinava verve e talento come pochi, il futuro arbitro cominciava a guardare il calcio da un’altra prospettiva: con il tempo maturò infatti il desiderio di passare dall’altra parte della barricata. E così a 18 anni vestì la sua prima casacca nera. Ai tempi i direttori di gioco indossavano rigorosamente il colore dell’oscurità. Le prime importanti esperienze furono nel variegato e controverso mondo del calcio minore, l’attuale calcio regionale; ma si capiva che presto sarebbe arrivato in alto. I tempi dei palloni contesi al fratello e delle partitelle sulle piazze erano solo un ricordo: Attilio stava per entrare nel calcio che conta.
E che fosse un arbitro in gamba lo conferma il suo ex assistente Silvio Papa: “Sul campo si faceva rispettare, aveva una spiccata personalità e non guardava in faccia a nessuno. Dava l’impressione di essere un duro ma in realtà aveva un cuore buono. I giocatori lo
Il signore vestito di nero era lui, l’ex coordinatore della Lega Ticinesi purtroppo scomparso un anno fa. Prima ancora che potessimo rispondere al suo quesito, Attilio non seppe trattenere un “a sum mi!”,sono io. Già, il guardalinea Bignasca ritratto assieme ad uno dei più grandi calciatori della storia. Meglio di lui, forse, solo Maradona e Pelé. Nella stessa foto è ritratto anche l’arbitro svizzero Jean Dubach (morto 15 anni fa) e il capitano del Belgio Piot.
Era il 25 aprile del 1976: si giocava la partita d‘andata dei quarti di finale degli Europei, allo stadio De Kuip di Rotterdam si affrontavano Olanda e Belgio. L’assistente ticinese faceva parte di una terna tutta rossocrociata. Per gli amanti delle statistiche ricordiamo che finì 5-0 e i tulipani si qualificarono per il quadrangolare finale che sarebbe poi stato vinto dalla Cecoslovacchia. La foto che pubblichiamo oggi è anche il simbolo di una carriera arbitrale e di una passione per il calcio che ha accompagnato per tutta la vita l’imprenditore luganese, grande competente, fra l’altro, della materia. I suoi commenti agli eventi nazionali e internazionali non lasciavano dubbi. La sua capacità analitica lo distingueva ma non solo: era alieno da pregiudizi e faziosità.
Dai campetti al calcio d‘elite
“Il calcio è sempre stata una passione di famiglia” disse una volta. A soli 10 anni, insieme al fratello Nano, giocava sul balcone di casa e qualche volta si recava ai campetti di Molino Nuovo, dove conobbe Alfio Molina, il grande portiere dell’HC Lugano, che in quelle occasioni si metteva a disposizione dei più vecchi colleghi. Erano gli Anni Cinquanta, e come disse Attilio, “allora c’era solo quello, o al massimo c’era il basket che si giocava negli spazi di cemento vicini al fiume Cassarate e del centro”.
E mentre il fratello Giuliano sciorinava verve e talento come pochi, il futuro arbitro cominciava a guardare il calcio da un’altra prospettiva: con il tempo maturò infatti il desiderio di passare dall’altra parte della barricata. E così a 18 anni vestì la sua prima casacca nera. Ai tempi i direttori di gioco indossavano rigorosamente il colore dell’oscurità. Le prime importanti esperienze furono nel variegato e controverso mondo del calcio minore, l’attuale calcio regionale; ma si capiva che presto sarebbe arrivato in alto. I tempi dei palloni contesi al fratello e delle partitelle sulle piazze erano solo un ricordo: Attilio stava per entrare nel calcio che conta.
E che fosse un arbitro in gamba lo conferma il suo ex assistente Silvio Papa: “Sul campo si faceva rispettare, aveva una spiccata personalità e non guardava in faccia a nessuno. Dava l’impressione di essere un duro ma in realtà aveva un cuore buono. I giocatori lo
rispettavano e accettavano le sue decisioni”.
Decisioni spesso coraggiose e per questo contestate. Nel 1975 Servette e Zurigo si contendevano punto a punto il titolo e alle Charmilles era in programma il big match. Senza farsi condizionaredall’ambiente e dalle proteste dei romandi, l’arbitro ticinese ad un certo punto concesse un rigore agli ospiti (che venne però sbagliato da Peter Risi). Ci furono momenti di tensione ma lui fu irremovibile. Scrisse a proposito l’inviato dellaSuisse di Ginevra Jean Jacques Rosselet: “ In una partità di tanta intensità e con una tale posta in palio, Bignasca se l’è cavata con grande onore. Il rigore concesso agli zurighesi era giustificato”. E se lo scriveva un giornalista ginevrino, allora voleva dire che era proprio vero.
Quella volta a Raron
Ma non furono solo rose. Sempre a metà degli Anni Settanta Attilio fu chiamato a dirigere una partita del campionato cadetto sul campetto di periferia di Raron che oggi non verrebbe omologato neppure per la Quarta Lega… Per l’occasione era accompagnato dai fidi Achille Cedraschi e Ado Delmenico. Lo stadio confinava (e ancora confina) con una strada di campagna e lo spogliatoio, si fa per dire, era ubicato più in là attaccato ad un piccolo fiume. Ad Attilio venne la brillante idea di posteggiare proprio dietro lo spogliatoio. Mal gliene incolse! La sfida, ahilui, sin dall’inizio assunse i toni della rissa; più passavano i minuti e più aumentava la tensione. Ricorda Silvio Papa, che quel giorno si offrì per accompagnare la terna arbitrale nel Vallese.
Decisioni spesso coraggiose e per questo contestate. Nel 1975 Servette e Zurigo si contendevano punto a punto il titolo e alle Charmilles era in programma il big match. Senza farsi condizionaredall’ambiente e dalle proteste dei romandi, l’arbitro ticinese ad un certo punto concesse un rigore agli ospiti (che venne però sbagliato da Peter Risi). Ci furono momenti di tensione ma lui fu irremovibile. Scrisse a proposito l’inviato dellaSuisse di Ginevra Jean Jacques Rosselet: “ In una partità di tanta intensità e con una tale posta in palio, Bignasca se l’è cavata con grande onore. Il rigore concesso agli zurighesi era giustificato”. E se lo scriveva un giornalista ginevrino, allora voleva dire che era proprio vero.
Quella volta a Raron
Ma non furono solo rose. Sempre a metà degli Anni Settanta Attilio fu chiamato a dirigere una partita del campionato cadetto sul campetto di periferia di Raron che oggi non verrebbe omologato neppure per la Quarta Lega… Per l’occasione era accompagnato dai fidi Achille Cedraschi e Ado Delmenico. Lo stadio confinava (e ancora confina) con una strada di campagna e lo spogliatoio, si fa per dire, era ubicato più in là attaccato ad un piccolo fiume. Ad Attilio venne la brillante idea di posteggiare proprio dietro lo spogliatoio. Mal gliene incolse! La sfida, ahilui, sin dall’inizio assunse i toni della rissa; più passavano i minuti e più aumentava la tensione. Ricorda Silvio Papa, che quel giorno si offrì per accompagnare la terna arbitrale nel Vallese.
“Il finale di gara fu a dir poco burrascoso. Il pubblico di casa era arrabbiato e cominciò ad insultare e a lanciare oggetti contro i tre arbitri . Alcuni tifosi nel frattempo si accorsero della macchina targata TI parcheggiata nei pressi dello spogliatoio e non trovarono di meglio che circondarla. Ma non si fermarono lì: ruppero infatti l’antenna della radio. Si doveva allora pianificare la fuga. I dirigenti della squadra di casa decisero perciò di accompagnare i malcapitati con la loro auto a Briga. Fortunamente non successe nulla e tornammo in Ticino incolumi, anche se nel viaggio parlammo poco, forse perchè eravamo spaventati. Attilio rimase comunque sereno e disse queste parole: sono cose che capitano ragazzi, andiamo avanti la vita continua”. Un modo come un altro di sdrammatizzare un’infausta giornata, una di quelle che possono capitare anche ai bravi arbitri. La tranquillità e la bonarietà, del resto, erano una sua caratteristica.
Fra calcio e lavoro.
Attilio Bignasca divenne istruttore prima e ispettore degli arbitri poi. Ma spesso e volentieri andava sui campi della Confederazione a dirigere le partite di Lega Nazionale. A poco a poco, tuttavia, la sua passione cominciava a scontrarsi con le esigenze di un imprenditore in continua espansione. Alla fine, pur con grande rammarico, fu costretto a rassegnare le dimisioni anche se rimase per qualche anno presidente del gruppo Fischietti del Luganese. Un carica che svolse con diligenza ed entusiasmo. Ancora Silvio Papa: “Non solo ho apprezzato l’arbitro e il collega disponibile e aperto al dialogo. Ma ricordo anche una persona di cuore e sempre pronto ad aiutarti. Gli volevano bene tutti”.
MAURO ANTONINI