Sport, 28 settembre 2021

“Ringrazio Peter Pazmandy. Fu il primo a credere in me”

Chiacchierata a ruota libera con il tecnico del Bellinzona Jean Michel Aeby

BELLINZONA - L’appuntamento è fissato in un bar del centro di Bellinzona: Jean Michel Aeby ha appena finito di pranzare con la squadra, un incontro per consolidare il legame fra giocatori, lo staff e la dirigenza. Sarà una stagione lunga, difficile, tante le responsabilità; i tifosi scalpitano, nella Capitale il Bellinzona è sempre nel cuore della gente, non importa in quale categoria militi. Il tecnico romando, fedele alle sue abitudini, si presenta puntuale, al suo fianco il fido Paolo Gaggi, l'ultimo rimasto del gruppo che nel 2014 prese in mano il club sulle macerie del fallimento. È stato lui, il direttore sportivo, a contattare l'ex giocatore granata degli Anni Ottanta e a metterlo in panchina al posto di Joao Paiva. Con il suo arrivo le cose sembrano migliorate. “Mi hanno chiesto di fare il possibile per portare la squadra in Challenge League. Io ci provo, ma ora è troppo presto per dare giudizi o previsioni. Si lavora, e basta”. Un sano realismo non fa mai male.


Jean Michel: oggi parliamo solo di lei e della sua carriera. Partendo da lontano. 
Dal 1986, quando Peter Pazmandy, che mi aveva visto giocare nell'Etoile Carouge e allenava i granata, telefonò a casa mia a Ginevra e chiese a mio padre se il sottoscritto fosse disposto a salire in LNA e giocare nel Bellinzona. Si trattava di cambiare città, vita e abitudini. Impiegammo poco tempo a rispondere. Mio padre fu d' accordo, in pratica decise lui. Io avevo appena 20 anni, diciamo che ero ancora immaturo.


Bellinzona: due anni indimenticabili.
Il primo da sballo, il secondo normale. Quando arrivai nella capitale ticinese non mi resi conto di ciò che mi sarebbe aspettato. Ero entrato nella rosa di una neo-promossa ma soprattutto in un contesto del tutto straordinario. Una città che viveva di calcio, una squadra di grande qualità ed una perfetta simbiosi fra i giocatori e la tifoseria. Come dicevo prima: uno sballo.


Da dove partiamo?
Da un gruppo di campioni: Paulo Cesar, Mario Sergio, Chrois, Fargeon, che avevo conosciuto nelle giovani a Carouge, e tanti giocatori ticinesi come Mellacina, Degiovannini, Schär, Genini, Bordoli, Berta. Il fatto di avere in rosa un così grande numero di elementi della regione è stato importante se non decisivo: quando un club ticinese schiera tanti giocatori del posto, beh, allora puoi stare tranquillo che il pubblico si affeziona ancora di più. Fu il caso di quel Bellinzona. Anche se… 


Anche se?
A suscitare entusiasmo furono soprattuto i brasiliani. Paulo Cesar e Mario Sergio diedero spettacolo. Ricordo che contro il Losanna partirono da centrocampo con la palla e andarono direttamente a segnare. Che colpi! Che giocatori! E che pubblico: a volte sugli spalti c'erano 16 mila spettatori. Il Bellinzona di quegli anni è diventato materia per i libri di scuola. 


Fra l'altro: quando arrivò nella Capitale lei dovette affrontare un difficile esame.
Presentazione della squadra al Grottino Ticinese, oltre duemila spettatori. Pazzesco! Ogni giocatore doveva salire sul palco e dire due parole al pubblico. L'avvocato Zarro mi disse
che avrei dovuto esprimermi in italiano. E così, senza sapere una sola parola della vostra lingua, provai a presentarmi. Vi lascio immaginare le risate bonarie dei tifosi… 


E ancora.
Feci amicizia con Roberto Pilotti e Peter Jaks, due personaggi a loro modo incredibili. Con il primo andavo spesso ad Ambrì a vedere le partite. Sono un appassionato di hockey: da ragazzino seguivo il Friborgo, visto che sono originario della Sarine. Ricordo la promozione del 1980, con Gaston Pelletier, appena scomparso, alla transenna. Appena posso ancora oggi seguo i burgundi. 


Nella sua carriera di giocatore, Jean Michel ha avuto tanti maestri. 
Cito quelli ai quali sono stato maggiormente legato. Oltre a Pazmandy, di cui ho accennato prima, mi sono trovato benissimo con Umberto Barberis a Losanna, Michel Renquin nello Chenois, e Ilija Petkovic nel Servette, purtroppo deceduto a causa del Covid-19. 


E qui il suo ricordo va alla squadra che ha vinto il titolo nel 1994. 
Ancora oggi a Ginevra si parla del Servette del 1994. Vincemmo il campionato con un gruppo di grande talento. Tre nomi: Oliver Neuville, Sonny Anderson e Marco Grassi. Non era facile vincere nella città romanda, sempre molto esigente e diffidente verso il club e la squadra. Il pubblico, poi, è sempre stato critico: bastava poco e ti fischiava.


E a Losanna?
Mi ritrovai in un gruppo giovane diretto da Bertine Barberis. La società aveva fatto piazza pulita dei senatori e il tecnico non si era fatto scrupoli a lanciare giocatori quali Ohrel, Herr, Hottiger, Chapuisat, Huber e Douglas. In pochi anni il Losanna diventerà una delle principali attrazioni del nostro campionato. Da quella squadra è nata ossatura della nazionale di Stielike e Hogdson poi. 


E veniamo alla carriera di tecnico.
Ero il vice di Renquin nello Chenois. Fu lui ad incentivarmi. Quando lascìò il club per una squadra di lega superiore, mi venne affidato l'incarico. Fu quello l'inizio. Poi arrivò il Meyrin e finalmente nel 2005 ecco il Servette: per me una grande emozione. Allenavo la squadra della mia città. Salimmo in Challenge League dalla Prima Lega. La società era appena fallita ed evitò la Quinta solo perché aveva la sezione allievi. 


Poi una trafila di squadre: Xamax, Baulmes, Stade Nyonnais, ancora Carouge, Bienne, Lancy e finalmente Yverdon.
Sono un giramondo ma ovunque mi sono trovato bene. E credo che i dirigenti abbiano apprezzato il mio operato. Credo molto nel lavoro duro e nel dialogo. Lascio spazio al talento e non lo soffoco. In qualche caso non è andata benissimo. Prendiamo la mia ultima esperienza prima di Bellinzona: a Yverdon ho portato la squadra in Challenge League e sono diventato una sorta di eroe. Poi ho perso le prime tre partite nella lega cadetta e il presidente mi ha dato il benservito. Nel calcio, come si dice, succede.. L' intervista è finita. Da pochi minuti, al tavolo vicino, è arrivato il patron Pablo Bentancur. Il mister e Gaggi vanno a rapporto.

M.A.

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